Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Testamento biologico

La morte e la vita. Discussione in cortile

fine vita 3L'Huffington Post, 16-09-2015
Luigi Manconi, Antonella Soldo

Sul tema del fine vita può darsi un punto di incontro tra posizioni tanto divergenti - quasi opposte - come quella di un tremebondo fautore dell'eutanasia e quella di un sostenitore prudentissimo anche del solo testamento biologico? Forse sì. A delineare i contorni di un possibile spazio di condivisione - diciamo pure: di degno compromesso - tra opinioni tanto lontane, ci prova il Cortile dei gentili, la fondazione "per il dialogo tra credenti e non credenti" guidata dal Cardinale Gianfranco Ravasi, che in questi mesi ha riunito intorno a un tavolo medici, docenti, legislatori e filosofi per una serie di incontri sull'argomento.

I risultati sono riassunti in un documento, che verrà presentato il 17 settembre alle 17:00 al Senato, nella Sala Zuccari. L'occasione è un convegno a cui prenderanno parte, oltre al padrone di casa Pietro Grasso, lo stesso cardinale Ravasi e Giuliano Amato, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, Paolo Zatti, Laura Palazzani, Alberto Giannini e chi scrive (appunto quel tremebondo fautore dell'eutanasia di cui all'inizio di questo articolo). Quella del Cortile dei Gentili è una riflessione svolta prevalentemente in un orizzonte giuridico e che aspira, sì, a offrire solidi riferimenti etici alla problematica, ma collocandola dentro la cornice della certezza del diritto e dei suoi vincoli.

Attenzione: quei riferimenti etici costituiscono un'essenziale quadro metodologico che più di qualunque altro fattore può agevolare l'itinerario comune. Infatti, se invece che attraverso un approccio meramente scientifico-scientista, o solo strumentale e utilitaristico o esclusivamente tecnico-formale, ci si confrontasse a partire da alcune opzioni morali, l'incontro risulterebbe più agevole e più fertile. Può sembrare paradossale, ma non è affatto così: al di là delle soluzioni normative, che possono non coincidere, si è sviluppata col tempo una significativa concordanza su categorie come autodeterminazione del paziente e dignità del vivere, tutela delle fragilità e superamento della "solitudine del morente". É evidente che, di ciascuna di queste categorie, si possono dare interpretazioni diverse e, tuttavia, si è sviluppato in ampi settori della cultura e dell'opinione pubblica, e tra credenti e non credenti, un punto di vista ispirato a comuni valori etici.

Quali, per esempio, la rinuncia all'accanimento terapeutico e ai trattamenti sanitari eccessivamente invasivi e non strettamente indispensabili, l'importanza della consapevolezza del paziente e la sua collocazione al centro del rapporto di cura, il rifiuto del dolore non inevitabile: ovvero di ogni sofferenza che possa essere alleviata, contenuta, sedata. Può sembrare poca cosa, ma si tratta in realtà di acquisizioni assai rilevanti. In questa prospettiva, il cuore della discussione si trova nel concetto di "relazione di cura". Ovvero in una programmazione condivisa di terapie che non si esaurisca in singoli atti medici o in trattamenti circoscritti.

La relazione di cura va qui intesa come dialogo costante fra paziente e medico. Dialogo che può consentire al medico di calibrare le cure in funzione non dei solo connotati fisici dell'organismo del paziente; e che può consentire a quest'ultimo di maturare scelte sempre consapevoli, nelle condizioni di salute date. É da questo scambio continuo, che non ignora la disparità di potere tra medico e paziente ma la dichiara e la gestisce, che può derivare una cura appropriata.

Ed è proprio a partire da un rapporto terapeutico così inteso che viene legittimata non soltanto una proiezione nel futuro del consenso del paziente (le dichiarazioni anticipate di trattamento, l'indicazione di un fiduciario), ma persino il diritto - è proprio questo il termine usato nel documento - al rifiuto di determinate cure. Infatti, la programmazione condivisa delle cure consente al medico e al paziente di prevedere situazioni patologiche probabili e corrispondenti ipotesi di trattamento (accolte o rifiutate), aderenti al consenso del malato e, che possono estendersi, se questi lo richiede, anche oltre una sua perdita di capacità.

Quanto all'astensione e all'interruzione di trattamento, sono considerate condotte che adempiono a un dovere deontologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale. Al contrario, quando l'interruzione esiga l'intervento del medico e possano insorgere in ciò i presupposti per l'obiezione di coscienza, il sanitario potrà legittimamente sottrarsi all'intervento, a patto che venga rispettato il dovere deontologico di assicurare la continuità di assistenza. Sembrano appena primi passi - e in effetti tali sono - ma esattamente quelli indispensabili per intraprendere un percorso che, inevitabilmente, sarà contraddittorio e tortuoso e che potrà vederci divisi su più punti. In ogni caso, va riconosciuto come un buon inizio.

P.s. Cortile dei gentili è un nome che ha un'antica origine storica. Risale a quando, nel 20 a.C., il re Erode, ricostruendo il tempio di Gerusalemme, previde uno spazio nel quale tutti potessero entrare: giudei e non giudei, circoncisi e non circoncisi, membri o no del popolo eletto. Dunque, chiunque lì poteva incontrarsi conversare, disputare e avere scambi, senza distinzioni di cultura, lingua o credo religioso. Simbolicamente il nome definisce lo spazio della comunicazione e della relazione tra credenti e non credenti.

Fonte immagine: www.partitodemocratico.it

Pubblicato: Giovedì, 17 Settembre 2015 18:20

Citrino visual&design Studio  fecit in a.d. MMXIV