Libertà terapeutica
Nell’epoca del massimo sviluppo delle scienze mediche e delle biotecnologie, l’autodeterminazione del paziente rischia di risultare ancor più compromessa. Mentre si affermano le più diverse forme di libertà, quella di cura appare insidiata dalla potenza delle macchine, dalla standardizzazione delle procedure e da un sapere medico che sembra farsi sempre più sofisticato e, allo stesso tempo, più separato. Questo rende necessario procedere in tre direzioni.
La prima è quella del rafforzamento dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, che consenta uno scambio reale e la commisurazione delle terapie ai bisogni del malato, ivi comprese le cure palliative e l’uso terapeutico di sostanze stupefacenti come la cannabis. Un’alleanza terapeutica che includa i familiari, tra conoscenze scientifiche e conoscenze biografiche e tra competenza professionale e vita di relazione. La seconda prospettiva è quella del riconoscimento giuridico della volontà del paziente relativamente a scelte sulle quali potrebbe non avere piena disponibilità in futuro. Il valore cogente delle direttive anticipate andrebbe integrato e bilanciato da clausole che prevedano sia il loro aggiornamento periodico alla luce dei progressi della scienza medica, sia l’intervento di uno o più fiduciari che commisurino le decisioni precedentemente assunte dall’interessato alle nuove condizioni createsi. Infine, si deve intervenire per contrastare due tendenze sempre più avvertibili: quella alla medicalizzazione di fasi cruciali dell’esistenza quali la nascita e la morte. E la tendenza, intrecciata alla prima, a una nuova forma di “solitudine del morente”.
È da questa complessiva impostazione che può discendere un discorso equilibrato sul suicidio assistito e sull’eutanasia. Una scelta, quest’ultima, da riconoscere in condizioni estreme e con vincoli tassativamente definiti.
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