Libertà terapeutica
Manconi: «La sofferenza non ha nulla di mistico. Ora il biotestamento»
Il Dubbio, 22 marzo 2017
di Giulia Merlo
«Io credo che sia un diritto del paziente decidere in prima persona della propria vita, dopo aver ascoltato il parere dei medici. Questa è l’ispirazione profonda della legge»
«Le possibilità di approvarla? Poche, ma non è un buon motivo per provarci ugualmente». In settimana, la legge sul biotestamento tornerà in discussione alla Camera dopo essersi inabbissata per settimane nei meandri dell’agenda di Montecitorio, e il senatore Pd Luigi Manconi tra i primi in Italia ad occuparsi del tema – prova a rintracciare le cause dell’ostruzionismo rispetto ad una norma che regoli la forma della dichiarazione anticipata di trattamento sanitario: «influisce la morale cattolica, ma anche una cultura medica autoreferenziale».
E’ stata una lunga strada, quella per arrivare al disegno di legge ora in discussione alla Camera…
Io ho presentato il primo disegno di legge sul testamento biologico nel 1996 e, all’epoca, assolutamente nessuno sapeva di che cosa si trattasse. Dopo un’assenza di dodici anni sono tornato in Parlamento nel 2013 e riconosco che il tempo trascorso ha contribuito certamente a maturare un orientamento dell’opinione pubblica che oggi, secondo tutte le rilevazioni, appare in maggioranza favorevole. Non altrettanto si può dire a proposito della gran parte della classe politica.
Le tensioni rimangono, infatti. Su quali questioni di merito?
La controversia riguarda una questione cruciale, senza la quale il disegno di legge subirebbe uno stravolgimento radicale della stessa ragione principale delle Dichiarazioni anticipate di trattamento: la possibilità di chiedere l’interruzione di nutrizione e idratazione artificiali.
Ecco, su questo punto così essenziale si è diviso il dibattito parlamentare. Lei come interpreta la questione?
Io mi attengo a quanto sostenuto dalla Sinpe ( Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo), che si è pronunciata più volte definendo la nutrizione e l’idratazione artificiali come terapie mediche. Nella stessa direzione va anche la gran parte della letteratura scientifica internazionale. Chi si oppone a questa interpretazione, sostiene invece che si tratti di misure vitali e, come tali, non sospendibili, perché intervenire sull’alimentazione e l’idratazione significherebbe toccare le basi stesse dell’esistenza umana. Ma dietro questa concezione c’è un equivoco.
Quale equivoco?
Si immagina, sbagliando, che nutrizione e idratazione significhino fornire al paziente un pasto caldo e una bottiglia d’acqua. Invece non è così: si tratta di trattamenti sanitari delicati, praticati da personale specializzato. Già questo dato evidenzia come siamo in presenza di vere e proprie cure che, quando si manifestano come accanimento, dovrebbero poter essere sospese.
Un altro dei punti più dibattuti è il ruolo del medico che, secondo alcuni, viene marginalizzato dal disegno di legge.
L’alleanza terapeutica, il consenso informato e il coinvolgimento del medico sono principi essenziali. Esiste però una questione decisiva, che costituisce l’ispirazione profonda del testamento biologico: in ultima istanza, alla resa dei conti, chi è il titolare della decisione finale? Questo è il vero e cruciale dilemma. Avute tutte le informazioni disponibili e ascoltato il parere dei medici, il paziente può assumere la propria decisione a proposito di interruzione delle cure sulla base del libero arbitrio? Io credo sia un suo diritto.
Ma che cosa succede nell’ipotesi di un paziente non più in grado di decidere, quando ciò che ha stabilito nel testamento biologico non è sufficiente?
Per questo esiste la figura del fiduciario, o di più fiduciari: un soggetto che – godendo di una illimitata fiducia da parte del paziente e nel caso che questi non sia più in grado di intendere e di volere – interverrà per valutare quale sarebbe a suo avviso il bene che il paziente con il testamento biologico dimostrava di voler privilegiare. Questa è una soluzione indispensabile e, anche se non aliena da rischi, è la migliore che si possa avere nelle situazioni ultime. Non esistono ricette o prontuari automatici, ma solo soluzioni che tengono insieme diversi interessi e diritti.
Che cosa ha bloccato fino ad ora l’approvazione di una legge sul testamento biologico? La morale cattolica è ancora determinante nel Paese?
L’idea che sia tutta colpa della Chiesa cattolica è un’interpretazione così sbrigativa e parziale da risultare pressoché falsa. L’influenza dell’ispirazione religiosa è certamente notevole nella classe politica, ma io penso che altrettanto pesante sia la pressione della cultura medica tradizionale. Una cultura, da troppo tempo autoreferenziale, che pone l’autorità del proprio sapere scientifico come dominante rispetto alla volontà del paziente.
Però la morale cattolica dei parlamentari continua a pesare nelle scelte?
Si, ma vorrei far notare che anche la bioetica di ispirazione cattolica e la stessa nuova Carta della pastorale della salute hanno manifestato alcune aperture sul tema dell’idratazione e nutrizione artificiali come terapie e non come trattamenti vitali, considerando la possibilità – in determinate condizioni – di sospenderle. Varrebbe la pena che la classe politica che si dice cattolica quantomeno si informasse.
Che cosa intende quando dice che la procrastinazione di questo disegno di legge è dovuta anche alla cultura medica?
Io credo che in Italia ci sia una incredibile sottovalutazione del problema del dolore, che da moltissimi medici viene considerato come un effetto collaterale delle patologie o una conseguenza inevitabile delle terapie. Se non addirittura una sorta di percorso di maturazione psicologica e persino di espiazione e di ascesi. In questo modo, però, non si considera il dolore per quello che è: una sofferenza che può essere lancinante e che richiede terapie adeguate, cure mirate e, in un numero determinato di casi, anche il ricorso a interruzione dei trattamenti. Di questo colossale equivoco a proposito del dolore, sono prove evidenti il fatto che l’Italia continui ad essere agli ultimi posti in Europa per il ricorso a farmaci a contenuto di morfina e che le cure palliative sono raramente materia di studio e ancor meno praticate nelle cliniche. E che la cannabis terapeutica incontri tutt’ora enormi difficoltà a essere regolarmente commercializzata.
Dunque, dopo vent’anni dalla sua prima proposta di legge sul testamento biologico, quante chances di venire approvato ha il testo in discussione alla Camera?
Glielo dico sottovoce, temo poche. E temo altrettanto che possa essere approvato in una versione mediocre, in cui la questione cruciale della nutrizione artificiale venga espunta o sottoposta a qualche compromesso pasticciato. Ma tutto ciò non è un buon motivo per non provarci seriamente.