Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Passaggio a livello: Elezioni regionali. Renzi soffre ma non c’è alternativa.

elezioni regionali13-06-2015
Ubaldo Pacella

Matteo Renzi ha perso le elezioni regionali. Bene era ora, penseranno molti cittadini ed elettori, in passato, del PD, che con la loro astensione hanno voluto marcare una distanza dalla politica aggressiva, un po’ arrogante, lontana dagli itinerari consolidati o dalle parole d’ordine di certa sinistra. Quella, tuttavia, che ha sempre perso, senza voler fare un bagno di umiltà e piegarsi al fatto che il nostro è un Paese a grande vocazione moderata, con una consistente parte di conservazione populista e becera. La stessa che ha dato la vittoria a Salvini e il de profundis a ciò che resta del polveroso, ammaccato e litigioso berlusconismo.

Ben gli sta pensano all’unisono molti della minoranza del PD, che su questo “tonfo” hanno scommesso, convinti così di piegare il Presidente del Consiglio e segretario del partito ad un compromesso utile ai loro interessi, capace di dare fiato ad una tradizionale concezione della politica, di riannodare il filo sfibrato con un elettorato di riferimento, in primis quello pubblico o della scuola, impaurito dalle novità renziane. Conviene ricordare, per altro, in Italia dove tutti dimenticano presto, o fanno finta di farlo, che le idee e le proposte della minoranza bersaniana hanno portato alla catastrofe delle elezioni politiche del 2013, aperto la strada proprio a Matteo Renzi, sostenuto un Governo con Berlusconi, molto prima del famigerato “patto del Nazareno”. Rappresentano in altri termini tesi impolverate e poco popolari, oltre che lontane da una modernizzazione del Paese, che rappresenta l’unico sofferto Golgota in grado di salvare gli italiani dal declino irreversibile, come da una povertà diffusa, in salsa greca.

Matteo Renzi è stato azzoppato nel suo cammino, ha smarrito per strada un bel gruzzolo di voti, tuttavia se facessimo dei raffronti più calzanti di quelli quasi estorti a poche ore dalla chiusura delle urne all’Istituto Cattaneo, scopriremmo che, nonostante il sensibile calo dei votanti, il PD ha raccolto molti più consensi delle regionali del 2010, soprattutto al Sud. Altre analisi sui flussi elettorali e sugli spostamenti del consenso richiedono tempi più lunghi e studi molto più accurati.
Ciò che stento a comprendere non è la voglia giustificata e condivisa della minoranza dem di contenere la tracotanza del “nuovo Magnifico fiorentino” e del suo “giglio magico”, perché la storia, anche quella d’Italia, è costellata dai fallimenti di un uomo solo al comando, dal medioevo, al rinascimento, dal risorgimento, ai cannoni di Bava Beccaris, sino al fascismo e - per dirla tutta - a Bettino Craxi. Rapidità di scelte, innovazione dell’economia, trasformazione in senso liberale della società, oltre le caste e i blocchi di potere e di interesse, restano tuttavia principi guida di uno spirito autenticamente riformatore e progressista che non so dove dovrebbe albergare se non nel PD.

La responsabilità politica di un risultato elettorale mediocre è del segretario e della segreteria del partito senza infingimenti. Restano le considerazioni problematiche su un De Luca eletto in Campania nonostante le dichiarate resistenze della nomenclatura regionale del PD e la paradossale questione della sua insediabilità o meno e la vicenda, sulla quale sorvolo per carità di patria, delle modalità e dei tempi e delle gravissime incongruenze della lista degli impresentabili elaborata dalla presidente della commissione antimafia Rosi Bindi.

Il pessimo risultato della Paita in Liguria evidenzia una candidatura debole, ma questa non era strettamente nel solco tracciato dall’ex Presidente della regione e dal partito locale? Non ho letto che abbia voluto imporla la direzione romana del PD. Analoghe considerazioni potrebbero essere proposte per la Katiuscia Marini in Umbria, ricandidata al secondo mandato. Le marche, invece, hanno seguito la linea di prudente rinnovamento proposta dal partito, sferrando un sonoro ceffone all’ex presidente Spacca che dopo due mandati consecutivi, come l’ultimo dei cacicchi locali, voleva una impossibile terza candidatura e per questo è passato con tutti i bagagli nelle file di Forza Italia!

Resto convinto che questa tornata di elezioni regionali serva solo ad alimentare polemiche strumentali, demagogia diffusa a piene mani, regolare conti interni ai partiti, riposizionare gruppi dirigenti. Il bene degli italiani e una politica di sviluppo sociale, inclusivo e democratico interessa ancora a qualcuno?

Vale la pena auspicare o peggio muoversi sotterraneamente per una sconfitta del proprio partito in funzione di una maggiore visibilità interna? Non è una tattica autoreferenziale e suicida? La storia della sinistra nel mondo, Italia inclusa, è costruita sui fallimenti, le scissioni, le divisioni che inevitabilmente hanno riportato in auge moderati e “le destre” care al linguaggio bertinottiano o vendoliano. Siamo sicuri che ne valga la pena? La battuta d’arresto del PD coincide con il largo successo leghista e il rafforzamento dei 5 Stelle grillini. Le loro politiche potranno mai giovare al Paese? Imponiamo uno stop, augurandoci che sia riflessivo e momentaneo, alla trazione renziana, senza perdere di vista il progetto complessivo di rilancio dell’Italia, una nazione chiamata a cambiare volto e abitudini in ogni sua articolazione, a partire dagli apparati pubblici e giudiziari. Non lascerei per nulla al mondo questo compito alla Lega Nord, che già ha dato pessima prova con 20 anni di guasti targati Bossi, né al volontarismo pseudogiacobino di qualche capetto del Movimento 5 Stelle, la cui concezione della democrazia, del confronto, della cooperazione inclusiva fa bella mostra di se nella gestione dei gruppi parlamentari o nei diktat di Beppe Grillo o di Casaleggio padre e figlio.

Qualcuno pensa che un PD voltato al conservatorismo degli apparati di sinistra di Bersani e D’Alema possa incontrare il favore popolare che non ha mai riscosso? Vorrei poter affrontare una riflessione di ampio respiro politico, disegnare un orizzonte di innovazione della società, di rilancio del progetto europeo con una più forte e lungimirante integrazione, di risposte moderne alla irrisolta permeabilità sociale, capace di smontare le troppe caste e corporazioni che hanno portato il Paese alla deriva. Mi ritrovo invece sospinto all’indietro in un dibattito estenuato e logoro, fatto di slogan sfiniti. Penso alla riforma della scuola, per rimanere nella cronaca quotidiana, affrontata con pressapochismo, faciloneria e condita di demagogia, con l’assunzione immotivata di centomila precari, diventata poi vessillo della critica al Governo, senza che si profili un disegno strutturalmente migliore. Ho già detto che avrei lasciato, per ora, la scuola dove era, tuttavia la proposta di sostituire il preside coadiuvato da un gruppo di docenti, per la valutazione delle professionalità dei professori, con un consiglio allargato ai genitori degli studenti, assume il suono tetro dei soviet russi, per non dire delle parole d’ordine maoiste della rivoluzione culturale.

Occorrono proposte vigorose in ogni campo, idee e uomini nuovi, coraggio di battere vie mai percorse, sentieri ideali perigliosi quanto affascinanti. Questo dovrebbe perseguire e pretendere la sinistra dem. Proporsi come culla di altri leader, destinati nei fatti a sostituire Matteo Renzi, a raccoglierne le eredità positive a superarne le contraddizioni, magari con modi più eleganti, inclusivi, meno trancianti. In una parola portare la sfida nel futuro. Continuare a guardarsi indietro o tutt’al più soffermarsi ad osservare la punta delle proprie scarpe non aiuta nessun italiano, tantomeno i giovani, non accresce i diritti nella società e nel lavoro, non offre possibilità ai meno abbienti. Illude i vecchi gruppi dirigenti crogiolati nelle affermazioni di Tomasi di Lampedusa. Questo non è il protagonismo che vorrei, l’idealismo che ci guida e non ci fa mancare la forza di gridare piena la nostra insoddisfazione, perché oltre le parole, gli slogan, la propaganda, la polvere della polemica non emerge alcuna concretezza. “Chi si vuole mettere alla stanga a tirare il carretto?” disse De Gasperi e nessuno rispose.

Fonte immagine: www.interno.gov.it

Pubblicato: Lunedì, 15 Giugno 2015 12:58