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Passaggio a livello. Riforma scolastica: battaglia persa della conoscenza

scuola italiana19-05-2015
Ubaldo Pacella

Il cammino del Governo è sempre assai ricco di insidie. Quello della società italiana per superare ostacoli, contraddizioni, inefficienze drammaticamente fermo. Scuola docet!

La legge sul sistema scolastico era incerta, largamente inefficace, poco equilibrata, puntava ad una razionalizzazione di un sistema ad infinita dispersione di risorse, di qualità accademica, di logica.

I cardini sono l’assunzione massiccia di un numero abnorme di precari ( circa 100.000), un sistema di valutazione dei docenti e dei presidi, una normalizzazione progressiva attraverso l’immissione in ruolo nel prossimo futuro solo degli insegnanti vincitori di concorso a cattedra. Grosso modo quello che accadeva negli anni ’50, prima del fenomeno della scolarizzazione di massa dei primi anni ’60.

Non sono appassionato dal tema della riforma scolastica, sebbene ritenga che la formazione sia il primo elemento qualitativo di una società, quello sul quale si costruisce il futuro di un Paese, l’architrave etico e sociale delle diverse generazioni, il prisma per il migliore funzionamento di una struttura policentrica e multirazziale come quella odierna. La ragione di questo disincanto è nell’ insostenibile livello di populismo e demagogia che da oltre 40 anni condanna scuola, studenti e professori a rituali estenuati, senza un solo sussulto di coraggio, né una vera innovazione. Lo scenario mondiale è mutato a livello planetario, ma negli slogan degli studenti come nelle interviste dei docenti risuonano gli stessi frusti argomenti, parole talmente consunte da non evocare alcun interesse, anzi fastidiose perché danno il senso di un fallimento, di una incapacità a cogliere la modernità, di una ripetitività acritica. Possibile mi chiedo che ancora si usino modelli e schemi della mia pubertà? Quando c’era l’Urss di Leonid Breznev, la Cina di Mao, l’America di Nixon e di Joan Baez e i Beatles?

Il fallimento del sistema formativo italiano è solare per tutte le persone dotate di raziocinio, di onestà intellettuale, di una modesta esperienza della scuola, magari nella veste di genitore.

Il livello di preparazione è quanto meno mediocre, almeno per un gran numero di studenti. Troppi professori sono in cattedra senza aver nemmeno mai vinto uno straccio di concorso, quasi tutto è affidato alla buona volontà di docenti e genitori. Una abnegazione che riesce a far galleggiare un sistema ingolfato di vecchia burocrazia, di consociativismo sindacale, di precarietà diffusa, di meritocrazia umiliata. Mi verrebbe da chiedere perché il Governo e Matteo Renzi si sono invischiati in un ginepraio del genere? Debbono affrontare contestazioni di ogni sorta, soprattutto per via della fronda interna al PD, misurarsi con una crisi ancora onerosissima, procedere in una modernizzazione dell’Italia, dell’apparato pubblico, della giustizia, dell’efficienza delle reti dalla banda larga, all’energia, ai trasporti, a quella delle banche e del fisco. Credo che basti e avanzi per farsi nemici e rischiare il collasso di un Governo retto da maggioranze precarie e minoranze screditate. C’era bisogno dell’ennesimo “Vietnam” parlamentare sulla scuola? Forse che avere in casa un’insegnante esigente come l’ Agnese Landini ha mosso l’ego, già ipertrofico del suo, del Presidente del Consiglio nell’ ostentare piglio e decisione, offrendo il petto ad ogni prevedibile contestazione, pur di affermare che nulla resiste all’ impavido fiorentino? Nemmeno le torme dei professori o i cortei studenteschi che in passato hanno agitato i sonni degli eterni sconfitti che si sono arrischiati a mettere mano alla scuola italica.

Il dedalo inestricabile del sistema scolastico italiano è ulteriormente complicato dal dover fronteggiare oltre un milione di dipendenti pubblici con le armi spuntate di una politica impegnata a non decidere mai, vittima di una demagogia diffusa, abituata a polemizzare in modo sterile, senza offrire contributi costruttivi o innovative linee di azione.

Questa fuga dalla responsabilità ha finito per produrre un moloc entro il quale tutto si dissipa e si riassorbe. Una foresta amazzonica di confusione, di sacche di improduttività, di eroismi quotidiani sconosciuti, di malcelato disinteresse, di ambiguità per cui la libertà di insegnamento diviene scudo all’inefficienza, all’incapacità, il tutto condito con una burocrazia ottusa che ha continuato, ad esempio, a tenere in cattedra un insegnante di liceo sardo, anche dopo una condanna in primo grado per abuso sessuale sulle allieve minorenni, perché questa non era ancora stata confermata negli altri gradi di giudizio.

E’ una impresa scriteriata mettere ordine in questo ginepraio. Si afferma di voler assumere centomila precari, dar loro una stabilità e una solida prospettiva, ma ci si accorge che altri settantamila circa ne resterebbero esclusi. Tutti assunti tuonano i sindacati!! E’ ovvio e fanno benissimo la loro parte. Quanti di questi sono utili alla scuola di domani? La formazione è un presidio di autorevolezza, di merito, di qualità o un insieme raccogliticcio entro il quale far convivere masse di disoccupati socialmente recuperabili?

Gli insegnanti attraverso i mass media contestano fragorosamente i sistemi di valutazione, proprio quelli che applicano ad ogni ora di lezione. Non c’è una qualche forma di illogicità in questo, nessun alunno li contesta? Il sistema Invalsi sarà rozzo e scriteriato, perché nessuno propone qualcosa di più efficiente, rapido, moderno, immediatamente fungibile? Sopravvive nelle pieghe della scuola italiana la sub cultura del sei politico? Quello che ha rappresentato la dannazione dei meno abbienti, perché espulso il merito dalla società italiana, è restata solo la cooptazione e l’arbitrio delle conoscenze, dei rapporti personali, dei salotti più o meno buoni, della corruzione e del nepotismo. Il nostro Paese non a caso occupa uno degli ultimi posti per la mobilità sociale, questo è il frutto avvelenato di un falso e deformante concetto di istruzione e democrazia. Il corso legale del titolo di studio continua, d’altro canto, a mietere vittime. Si persegue il principio dell’uniformità, già stigmatizzata da Luigi Einaudi, con il risultato che nemmeno una università italiana compare nella graduatoria dei primi cento atenei nel mondo.

Sono troppe le questioni irrisolte dal progetto di riforma e da chi vi si oppone. Si sottolinea la necessità di dare un futuro stabile ai professori, di evitare che si debbano allontanare troppo da casa per insegnare, ci si arrovella sulla mobilità regionale. Sarebbe troppo reazionario pretendere che questo milione di dipendenti pubblici avesse diritti analoghi a quelli dei privati? Che timbrassero il cartellino come i medici ospedalieri, che avessero luoghi confortevoli dove prepararsi le lezioni e correggere gli elaborati per almeno 36 ore settimanali senza doverlo fare a casa? La scuola di massa in Italia ha dato vita ad un’idra a nove teste, per decenni l’istruzione pubblica ha prodotto un orrido sottobosco politico clientelare. Centinaia di migliaia di professori o considerati tali, poco pagati e marginali, un immenso territorio per scorribande di ogni tipo, dove ciascuno poteva trovare una piccola modesta convenienza, purché tutto facesse finta di funzionare. Sottoproletariato educativo. Sarà possibile mettere fine a questo triste scempio solo con una drastica, drammatica, pesantissima contrazione del numero dei docenti. Il resto è illusorio. Le ristrutturazioni si pagano salate. I lavoratori privati lo sanno bene, quando vorranno rendersene conto coloro cui è affidato il compito delicatissimo di formare le coscienze, elaborare i contenuti, sperimentare la critica, mettere a punto modelli matematici ed economici? Il peso di un sistema di istruzione pubblica così inefficiente non è più sostenibile in una logica di competitività globale.

Ho sentore che l’estate ci regalerà un’altra sbilenca, ondivaga e inefficace legge sulla scuola. Frutto di continui emendamenti, di un vestito di Arlecchino messo insieme con mille frammenti. Sarà l’ennesima occasione perduta come se da Franca Falcucci a Luigi Berlinguer a Mariastella Gelmini non avessimo ancora voluto imparare nulla. Astag: “Non è la volta buona” astag: “Non è la buona scuola”. Solo l’ennesimo naufragio, la resa alla demagogia, al populismo, ai micro interessi.


Fonte immagine: www.ilfont.it

Pubblicato: Martedì, 19 Maggio 2015 17:30