Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Passaggio a livello: Riforma costituzionale: uno sguardo oltre il referendum

senato 202-02-2016
Ubaldo Pacella

La legge di riforma costituzionale è stata approvata, in terza lettura, al Senato il 20 gennaio scorso con 180 voti a favore , 112 contrari e un astenuto.

E’ un evento di straordinaria portata, comunque lo si voglia analizzare, senza addentrarsi nel labirinto delle valutazioni di studiosi, dei professori di diritto., di politici dell’una o dell’altra schiera, tralasciando per il momento il merito.

Resta da compiere un ultimo passo, la quarta lettura alla Camera per il solo voto finale a maggioranza assoluta, prevista per Aprile, poi il referendum confermativo, al quale sarà chiamato il corpo elettorale.

Il popolo sovrano, come si è soliti definirlo con espressione logora, desueta e profondamente demagogica, dirà se approva la revisione di una parte del titolo V della Costituzione repubblicana, o se vorrà mantenere la costruzione istituzionale in vigore dal 1948.

Non intendo misurarmi, nella fase attuale, in una critica ragionata dei meriti e delle incongruenze della legge di riforma costituzionale, bensì riflettere sul metodo usato nel nostro Paese per affrontare ogni questione, anche la più rilevante.

Vorremmo sommessamente ricordare un fatto emblematico, sfuggito per fortuna alle infinite stantie querelle di casa nostra. Qualche settimana prima del voto in Senato era stata la Camera ad approvare in lettura conforme il testo della legge, nell’occasione nello stesso Palazzo Montecitorio si svolgeva, in omaggio ad una linea di democrazia dei principi, sia un convegno dei sostenitori del No alla riforma, sia la votazione in aula. Esempio plastico del modello italico di approccio alle scelte.

E’ su questo punto che intendo richiamare l’attenzione. Un merito indubbio Governo e parlamentari lo hanno acquisito: dimostrare che, dopo settanta anni diverse bicamerali e altri tentativi falliti, cambiare è possibile, che nulla è immutabile, che anche in Italia si può innovare. Come è un’altra storia.

La nostra penisola è terra di conflitti, di contrapposizioni sanguigne e sanguinose, di avversione, di contrade l’ un contro l’altra schierate, come sublimemente testimonia al mondo intero affascinato il Palio di Siena. Non si era ancora spenta l’eco delle parole del presidente Grasso per la proclamazione del risultato della votazione nell’aula di Palazzo Madama, che già le agenzie battevano i bellicosi propositi del comitato del no.

Ribadisco che non voglio pronunciarmi nel merito della legge costituzionale, onestà intellettuale vuole, a questo proposito, che manifesti la mia avversione, a stento mitigata dalla ragione o dalla dialettica, verso il proliferare in Italia dei comitati del “No”. Una inflazione di conflitto e contrapposizione che, a mio avviso, danneggia ormai anche le cause più nobili. E’ vero che dopo i decenni del centralismo post unitario, forse indispensabile per costruire una nazione, il ventennio fascista e i primi anni della ricostruzione occorreva un livello di attenzione civile e di mobilitazione democratica di fronte alle scelte dei governanti centrali o locali, ma il proliferare, in ogni occasione anche la più modesta di una pattuglia di animosi contestatori, senza valutare in ogni sfaccettatura le decisioni, ha condannato l’Italia all’immobilismo, ha determinato danni economici quantificati in centinaia di miliardi di euro, ha fatto troppo spesso la fortuna di chi dietro la protesta celava interessi diffusi, guadagni illeciti, a danno esclusivo della collettività. Vogliamo ricordare le proteste a Napoli contro i rifiuti, gestite dalla camorra?

Abbiamo con il referendum costituzionale il modo di lasciarci alle spalle questo metodo sconsiderato. Dopo i No Tav, I No trivelle, I no centrali, i no degasificatori i no Ilva, i No bretella, i no passante con un elenco infinito che si dipana dalle Alpi a Pantelleria, potremmo dar vita ad un comitato per il miglioramento della riforma? Perché non invertire la tendenza, superare la logica di schieramento e sfidare in campo aperto il riformismo del Governo e del Parlamento?

E’ un’idea bislacca diranno subito i mille detrattori, forse al più una provocazione intellettuale. Decidiamo nelle vesti di comunità nazionale di fare due passi avanti dopo averne compiuto forse mezzo. Rotto il muro dell’immutabilità delle tavole costituzionali, cogliamone i vantaggi, gettiamoci nella breccia, proponiamo immediatamente un testo che superi le incongruenze, i limiti, le difficoltà di quello appena discusso, senza paura. Perché tornare indietro, forse qualcuno pensa che l’attuale sistema istituzionale sia perfetto? Le mie modeste letture mi dicono che gli illustri costituzionalisti schierati per il No contestano metodi e parti della legge, ma non le linee guida della modernizzazione, visto che il professor Stefano Rodotà, per fare un esempio, è stato firmatario, da parlamentare, di un progetto di legge che prevedeva l’abolizione tout cout del Senato.

L’Italia non può continuare ad essere per ogni questione il congresso di Vienna, che ristabilisce l’ordine monarchico dopo la rivoluzione francese e l’impero di Napoleone. Dobbiamo avere il coraggio di superare le strettoie delle consuetudini, delle norme, di una loro applicazione pedissequa e ottusa, da parrucconi del ‘700. In questo modo finiremo per condannare i nostri figli ad un declino rovinoso.

Il referendum costituzionale non potrà trascinarsi in una mesta, scontata e avvilente contrapposizione tra Matteo Renzi e il resto dei politici italiani. Tra qualche tempo, mesi o anni, il primo non sarà più in auge, basti vedere la fine di Berlusconi, ma la nostra Patria avrà bisogno di un sistema più rapido ed efficiente per adottare decisioni incalzanti , con le sfide, le guerre ambigue e spericolate cui assistiamo, con preoccupazione crescente.

La proposta è superare, una volta per sempre la “vetocrazia”, un sagace neologismo coniato da Moises Naim capace di descrivere con somma efficacia uno dei mali endemici del nostro Paese, che ci ha condotto all’avvitamento, sul piano inclinato di un declino irreversibile.

Sostituire alla campagna del NO una proposta di legge articolata da consegnare al Parlamento all’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale rappresenterebbe un gesto fuori dai canoni, una sfida culturale e politica di alto profilo al Governo, alla maggioranza a Matteo Renzi. Si vedrebbe allora quali panni veste il riformismo, cadrebbero gli alibi tra innovatori e conservatori, perché così agendo si farebbero solo passi in avanti. Provare per credere.

Una chiosa sul valore della comunicazione. Mi sarei aspettato da giornali e emittenti radio televisive ben altra attenzione, commisurata a due anni di polemiche, talvolta con accenti isterici o sopra le righe. Modesta invece l’attenzione, resoconti di cronaca parlamentare, qualche pezzo di colore come quello pubblicato sulla Stampa nelle pagine interne, nulla più. Forse che l’attenzione dell’opinione pubblica su queste scelte è lontana e distratta, meglio le polemiche del giorno?

Un Senato che vota compatto per una sua trasformazione complessiva avrebbe meritato la penna di grandi opinionisti e la magia di immagini uniche. Ce le avrebbe regalate Sergio Zavoli, cui va il plauso per la stoica presenza in aula a 92 anni reduce da una brutta caduta. L’omaggio deve essere tributato, in particolare, a Giorgio Napolitano che di questo speriamo non effimero risultato è l’alfiere.
Confidiamo che nuova attenzione venga data dai mass media, in occasione del passaggio alla Camera, ben prima del fuoco di fila dei gazzettieri che ci terrà compagnia in querule discussioni prima del referendum confermativo.

Pubblicato: Martedì, 02 Febbraio 2016 12:59