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Passaggio a livello: Giovani: una generazione tra egoismi e mancata protezione

lavoro03-12-2015
Ubaldo Pacella

Giovani: molti ne parlano, studiosi ed economisti se ne interessano, statistiche e ricerche ne scandagliano i problemi e le risorse, troppi si interrogano sul loro futuro, praticamente nessuno realizza qualcosa di concreto per aiutarli.

Il lavoro giovanile è forse la ferita aperta più dolorosa della società contemporanea in Europa, ancor più marcatamente in Italia. Le cifre di un disastro totale sono impietose e oscillano con percentuali da brivido fissate dall’ISTAT al 39,8 % di persone tra i 18 e i 30 anni prive di occupazione.

Il fatto più allarmante non si concretizza solo in una grave perdita di valore economico, bensì alimenta frustrazione, disagio sociale, fenomeni di esclusione che sono destinati ad incidere negativamente nel tempo sulla struttura stessa della nostra comunità nazionale.

Le statistiche non dicono tutto, fotografano in un modo ambivalente una situazione a partire da dati riscontrabili. Molti di quei giovani, in effetti, svolgono lavori precari e in nero che sfuggono alle maglie di ogni controllo e alterano in modo sensibile lo scenario. Questo fattore economico, in realtà, contribuisce ad un disegno negativo per i giovani e il loro inserimento nel mercato del lavoro, cui fa da elemento dissonante quello della partecipazione alla responsabilità sociale.

Individuare soluzioni percorribili e innovative per uscire da questo cul de sac costituisce un imperativo categorico per il sistema socio produttivo italiano ed europeo. Includere i giovani nel mercato del lavoro significa offrire loro occasioni concrete e strutturali per trasferire valori, energie, speranze, sogni e cambiamenti all’interno del nostro mondo.

Una iniezione di vitalità più indispensabile che necessaria, quella che infonde energia e prospettive di sviluppo per ogni attività, non solo quelle strettamente legate alla produzione, bensì agli ambiti della cultura, dell’innovazione, aprendo il cammino ad una originalità senza la quale si è destinati al declino.

I giovani sono una risorsa che non può essere confinata nelle dispute accademiche, o peggio nei riflussi del qualunquismo, come nei logori pronunciamenti del populismo demagogico. Dobbiamo accrescere la consapevolezza che i nuovi modelli di inclusione e di opportunità lavorative per i giovani costituiscono il fulcro della nostra attività, senza il loro contributo non potremmo stabilire nessuna nuova architettura per la nostra società.

La difficoltà di inserirsi nel mondo del lavoro è testimoniata con solare evidenza proprio nell’ambito della formazione: la scuola italiana annovera i ¾ dei docenti con età superiore a cinquanta anni, va peggio all’università, il tutto si traduce in una mancanza grave di ricambio generazionale con studenti che vedono in cattedra solo i propri nonni. Un evento simbolico che acuisce il distacco sociale e crea una cultura della differenza o della marginalità.

L’impegno, a ben vedere, presenta sfumature ed articolazioni ben più vaste della sola sfera economica cui vengono normalmente confinate. Basti pensare, ad esempio, a quali prospettive andrebbe incontro la generazione dei venti-trentenni di oggi, cioè i nati tra la metà degli anni ottanta e la fine degli anni novanta.

I parametri economici fissati per le pensioni (Legge Fornero) fissano traguardi perniciosi che proiettano ombre inquietanti se non lugubri sul futuro, perché queste generazioni dovrebbero lavorare con continuità di contribuzione per oltre quarantacinque anni e sarebbero destinati a ricevere vitalizi nell’ordine dei 700/800 euro al mese attuali. Cifre raggelanti che indurrebbero a descrivere un declino drammatico della società italiana. Uno scenario che va contrastato con ogni possibile energia. Occorre intervenire sull’innovazione tecnologica, sulle nuove forme di lavoro, su attive politiche di inclusione, capaci di generare un trend positivo e dar vita ad un ricambio generazionale che poggia le basi sulla integrazione tra gli occupati giovani e quelli più esperti.

Abbiamo la grave responsabilità di non aver saputo garantire una corretta dinamica occupazionale, determinando una frattura notevole tra lavoratori attivi stabili e l’accesso dei giovani. Questo iato si è accentuato ulteriormente nel corso dell’ultimo ventennio con politiche industriali che hanno privilegiato il mantenimento al lavoro e la stabilità degli adulti rispetto all’immissione di forze fresche. Scelte populiste destinate a gravare sull’economia italiana nei prossimi decenni.

Una intera generazione è ad altissimo rischio di esclusione, non possiamo permetterci ulteriori inadempienze. Se non invertiamo radicalmente la tendenza entro l’attuale decennio avremo condizioni di vita insostenibili per milioni di persone dal 2050 in poi, con il risultato di creare tensioni sociali e conflitti difficilmente risolvibili. La società degli esclusi non a caso si radicalizza anche in politica: la crescita del Movimento 5 Stelle ne è testimonianza concreta. Troppi giovani si indirizzano verso questo protestarismo sciatto e sghembo non per costruire solide alternative, bensì per urlare la propria rabbia verso una società dei padri e dei nonni che sembra perniciosamente ignorare ogni loro richiesta.

Un progetto innovativo di grande valore simbolico è quello cui hanno dato vita l’Enel e la Cisl lo scorso anno sotto forma di apprendistato scuola-lavoro, cioè la possibilità per gli studenti degli ultimi due anni degli Istituti tecnici di lavorare temporaneamente in Azienda durante periodi concordati per essere poi assunti alla fine del ciclo scolastico, purché concluso con la promozione. E’ stato lo spunto per altre analoghe iniziative messe a punto successivamente dal Ministero dell’Istruzione con diverse Istituzioni. Numeri in realtà effimeri che danno tuttavia il senso di una volontà di trovare soluzioni al problema. E’ una delle tante strade che dobbiamo percorrere a grande velocità, per superare il dramma della disoccupazione giovanile.

Il Ministro Giuliano Poletti è intervenuto, nei giorni scorsi, sull’argomento generando sui social media un vento di polemiche molto caustiche. La sua affermazione che per favorire il lavoro dei Giovani sarebbe più opportuno laurearsi a 21/22 anni con 97 anziché a 28 con la lode, coglie una corretta indicazione di metodo, ahimè destinata al naufragio nelle dinamiche italiane. E’ sembrata a troppi Giovani dall’eccellente curriculum, una provocazione ancorché il modo di esternare con superficialità proprio da parte del Ministro del Lavoro. La ragionevolezza dell’invito, in effetti, si scontra con le invalicabili barriere che si frappongono tra il lavoro e i Giovani.

L’Italia presenta tassi di disoccupazione giovanile così elevati e capacità di assumere talmente esigue da rendere questo invito del tutto privo di senso. Le Imprese del nostro Paese non hanno capacità e volontà di inserire Giovani professionalizzati in numero così elevato rispetto alla normale offerta, magari tutti i trentenni laureati con lode potessero trovare spazio all’interno del sistema economico. La realtà è ben diversa, moltissimi Giovani brillanti sono costretti al lavoro nero o ad una occupazione precaria e non qualificante. E’ facile comprendere come la generazione dei mille euro al mese abbia bersagliato il Ministro Poletti di lazzi e ironia. Non ci sentiamo, noi anziani, lontani dal loro sentire. Il terreno è così scivoloso, direi addirittura urticante per lasciarsi andare a generiche enunciazioni di principio, non opportunamente inserite in una valutazione attenta e serena.

La rigidità del Mercato del Lavoro italiano, dovuta a molteplici fattori, errori e mancanze di strategia, si è ulteriormente complicata con la riforma del sistema pensionistico: la famigerata Legge Fornero.

La più iniqua delle decisioni assunte dal Governo Monti. Un ostacolo ulteriore al ricambio generazionale e alle necessità delle Aziende per aumentare produttività, redditività e innovazione dei processi. La Professoressa Fornero si è trovata suo malgrado a dover legare il proprio nome e il proprio volto ad una scelta antisociale, inutile ed ingestibile dovuta all’acquiescenza subdola dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti rispetto alle richieste dell’Unione Europea e della Germania in primis, nel pieno di una tempesta finanziaria scatenata volutamente per generare profitti, non per correggere le distorsioni dell’economia europea. Si è voluto offrire alla burocrazia di Bruxelles un contentino sulla pelle di milioni di italiani come se prefigurare uscite economiche dal 2050 in poi potesse avere un senso reale nel mondo moderno, obbligato dai fatti politici, dagli accadimenti esteri, dal terrorismo internazionale, a ridisegnare i propri scenari nel volgere di pochi mesi. E’ stato un grave errore procrastinare di 7/8 anni l’uscita dal lavoro, ma soprattutto non aver voluto prevedere una flessibilità concordata in funzione di nuova occupazione, fissando, magari, parametri economici del tutto particolari ed in linea con la necessità di fronteggiare la crisi del debito pubblico italiano.

Tutto questo grava in modo sensibile sui bilanci delle Aziende e allontana ogni ulteriore possibilità di lavoro per i giovani. Non è un caso che dove queste opportunità vengono create si faccia ricorso proprio a criteri di flessibilità organizzativa. Basti pensare all’accordo di questi giorni tra Enel e sindacati che garantirà dal 2016 al 2020, tremila nuovi posti di lavoro per i giovani a fronte di 6000 uscite di lavoratori attraverso il Fondo di Solidarietà a totale carico delle Aziende .

Le giovani generazioni si trovano ad affrontare una crisi destabilizzante tanto oscura e preoccupante, quanto priva di luce e prospettive.

Sono inseriti in processi formativi che sembrano di colpo arrestarsi di fronte al muro improvviso della mancanza di lavoro, proprio perché il corso degli studi e la professionalizzazione non è stata in alcun modo collegata alla necessità dell’economa reale. Ognuno è andato per la propria strada e chi è rimasto schiacciato in questa tenaglia della storia sono proprio i Giovani. Offrire loro un futuro è ben più di una necessità, è l’unica vera garanzia per gli anziani. Tutto ciò non solo in termini macro economici, per il sostegno del sistema previdenziale, sanitario, assicurativo, bensì perché senza un nuovo patto generazionale non potremmo nemmeno guardare negli occhi figli e nipoti sulle spalle dei quali abbiamo caricato oneri insostenibili.

Dobbiamo avere il coraggio di creare un nuovo modello intergenerazionale. Non possiamo continuare a richiamarci ai diritti acquisiti per i pensionati, alle scelte più favorevoli per i Lavoratori stabilmente occupati, il tutto sottraendo risorse proprio ai giovani. Ognuno deve ragionevolmente rinunciare a parte del proprio reddito, finalizzandolo ad investimenti mirati per una nuova occupazione giovanile.
I padri, in altri termini, dovranno favorire l’inserimento al lavoro dei figli rinunciando per un ragionevole periodo di tempo ad una parte del proprio reddito. E’ solo un esempio, delle tante politiche innovative cui si dovrà dare corso.

Non semplici dichiarazioni di principio, né fuggevoli slogan o accattivanti enunciazioni retoriche, bensì fatti concreti per fare spazio alla qualità, alla tenacia, alle risorse creative dei nostri giovani. Una sfida da vincere insieme gomito a gomito per quella partita dell’inclusione sociale che deve vedere in campo unite e solidali tutte le generazioni. Un principio etico dal quale non possiamo prendere le distanze, pena la frantumazione della società occidentale. Il futuro con i nostri capelli grigi si specchia negli occhi luminosi dei ventenni, senza questi non sarà più possibile riflettere la nostra immagine e offrirci ad una consapevole e serena cooperazione.

Fonte immagine: www.smartweek.it

Pubblicato: Giovedì, 03 Dicembre 2015 10:55