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Tortura

Storia mancata del reato di tortura in Italia

tortura 5Gaia Romeo, 06-05-2015

Per quanto tempo ancora l’Italia non dovrà giudicare un reato la tortura?

Questa storia mancata non è affatto quella di un lungo oblio: dal secondo dopoguerra ad oggi, innumerevoli sono state le occasioni in cui il nostro paese avrebbe potuto e dovuto introdurre il reato di tortura nell’ ordinamento penale.

L’Italia non aveva ancora aderito all’Onu quando, nel dicembre del 1948, il quinto articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recitava che “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”.
Due anni dopo gli stati membri del neonato Consiglio d’Europa sottoscrivevano, e proprio a Roma, la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali. A proposito della tortura, si adottava una formula quasi identica a quella delle Nazioni Unite :“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamento inumani o degradanti”. L’Italia, che del Consiglio d’Europa era tra i fondatori, ratificò la Convenzione e il successivo Protocollo addizionale con una legge del 1955.

Qualche mese più tardi, l’Italia aderiva all’Onu. Le Nazioni Unite, nel frattempo, ragionavano su come tradurre in obblighi giuridici i principi esposti nella Dichiarazione Universale, il cui valore non era in effetti altro che morale. A questo scopo, nel 1966 venivano redatti e adottati il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, a cui si accompagnava un Protocollo facoltativo, conosciuti globalmente come Patti Internazionali sui diritti dell’uomo. Ancora una volta, quelle stesse parole tornavano a dichiarare l’inammissibilità della tortura. La differenza, però, stava nell’impegno, da parte dei paesi sottoscrittori, a rendere concreti i principi lì enunciati attraverso azioni legislative. Perché i Patti avessero vigore era però necessario che vi aderisse un numero ragionevolmente ampio di stati, circostanza che si verificò nel 1976. L’Italia, ad ogni modo, avrebbe ratificato i due Patti solo l’anno successivo.

Saltando ancora di un decennio, arriviamo al 1984: nel dicembre di quell’anno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò per adottare la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La Convenzione entrò ufficialmente in vigore nel 1987; in Italia fu ratificata nel 1988. La novità, qui, stava nel fatto che per la prima volta si diceva esplicitamente che gli Stati aderenti dovevano obbligatoriamente adottare “ misure legislative, amministrative, giudiziarie ed altre misure efficaci “ per impedire che atti di tortura venissero commessi in territori sottoposti alla sua giurisdizione, e vigilare affinché tutti gli atti di tortura venissero considerati” quali trasgressioni nei confronti del diritto penale”. Insomma, si sanciva chiaramente l’obbligo di introdurre il reato di tortura.

Nel frattempo, gli stati membri del Consiglio d’Europa avevano firmato la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ; la novità principale era l’istituzione di un Comitato incaricato di esaminare, per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private della libertà, per vegliare che non fossero sottoposte, per l’appunto, a tortura o a trattamenti definiti inumani e degradanti.

Queste sono dunque le premesse, tra impegni morali e diritto internazionale.

Il primo progetto di legge per l’introduzione in Italia del reato di tortura, presentato nell’aprile del 1989, portava la firma del senatore del Pci Nereo Battello; il secondo, del 1991, veniva invece presentato dal senatore del Gruppo Federalista Ecologista Franco Corleone. Erano i tempi mitologici del Pentapartito, e dell’ultimo e del penultimo governo Andreotti. I due testi, in ogni caso, non approdarono mai neanche in assemblea.

Vennero poi gli scandali di Tangentopoli, e la fine della Prima Repubblica: di tortura, almeno per qualche anno, non si curò più nessuno. Se ne parlò di nuovo durante la XIII Legislatura (1996-2001) . L’Ulivo aveva vinto le elezioni: tra governi Prodi, D’Alema e Amato, vennero presentati alcuni progetti. Tra tutti, piuttosto particolare era il Dini- Fassino di iniziativa governativa, perché non configurava la tortura come un reato a sé, ma come una circostanza aggravante. In ogni caso, nessuno dei testi arrivò a essere discusso in Parlamento.

Con la legislazione successiva – età berlusconiana pura, 2001-2007- si fece pure qualche tentativo: tre proposte, dei tre deputati Piero Ruzzante ( Democratici di Sinistra), Dino Piscitello (La Margherita) e Alfredo Biondi ( Forza Italia) furono riunite in un unico testo e presentati da Gaetano Pecorella, allora deputato di Forza Italia. Dopo un anno di stallo venne redatto un nuovo testo, ma neanche questo andò oltre la discussione in Commissione Giustizia.

La legislatura successiva - 2006-2008, Prodi nuovamente al governo- vide addirittura otto proposte di legge: un testo, che ne riuniva in sé quattro, era stato da poco calendarizzato quando il governo entrò in crisi: il Senato, soprattutto per la defezione dell’Udeur di Mastella, gli negò la fiducia. Cadde il governo, e con questo la proposta di legge.

Addirittura dodici sono stati poi i progetti per l’introduzione del reato di tortura tra il 2008 e il 2013 – ultimo governo Berlusconi, il governo tecnico di Monti- ma nessuna di queste ha nemmeno mai raggiunto l’aula.

Arriviamo così alla legislatura ora vigente, e al progetto di legge più recente, “ Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”. Il testo, che anche qui è risultato di diverse proposte, vede come primo firmatario il senatore del Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e presidente di A Buon Diritto. Una prima versione della legge è stata approvata in Senato nel marzo 2014. Dalla discussione alla Camera, però, è uscito un testo sensibilmente modificato: se nella versione originaria, ricalcata sul diritto internazionale di cui prima si è detto, il reato di tortura veniva configurato come imputabile esclusivamente a chi eserciti pubbliche funzioni, come abuso di potere nei confronti di chi si trovi in stato di privazione della libertà o di minorata difesa, il nuovo testo delinea la tortura come un reato comune, che può essere commesso da chiunque si trovi nella condizione di esercitare autorità, vigilanza o custodia nei confronti della vittima. Inoltre, è stato eliminato riferimento alla privazione della libertà, e si è introdotta l’idea di dolo specifico, ovvero di reato compiuto per una precisa motivazione ( come l’estorsione di informazioni o a causa dell’identità etnica, sessuale, politica o religiosa), mentre originariamente si intendeva la possibilità che la tortura venisse inferta anche senza una ragione apparente. Così modificato, il testo è stato trasmesso nuovamente al Senato, ed è attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia.

A quasi settant’anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, a sessantacinque dalla Convenzione di Roma, a quaranta dalla ratifica Patti Internazionali sui diritti dell’uomo e a quasi trenta da quella della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, ci auguriamo tutti che questa sia la volta buona, e che l’Italia riesca infine a considerare un reato la tortura.

Pubblicato: Mercoledì, 06 Maggio 2015 17:26

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