Sistema di accoglienza
La sinistra Pd tace sull'immigrazione
Il Manifesto, 12-05-2015
Luigi Manconi
Si fa un gran parlare di «un vivace fermento nell’area oltre il Pd» e di «un laborioso cantiere aperto a sinistra» (ma forse si tratta di un giornale di due o sette o dieci anni fa). Sono un parlamentare del Pd e, al presente, non intendo lasciare quel partito. Per due ragioni. La prima è che è stato il Pd a candidarmi e a eleggermi (una questione di lealtà); la seconda è che non saprei proprio dove andare (una questione di politica). Quindi me ne sto qui, arrabattandomi come so e posso, per «limitare il disonore» (secondo il motto che ho rubato non so più se a Piergiorgio Bellocchio o a Alfonso Berardinelli). Cercherò di spiegare, quindi, che cosa ho fatto a partire dal naufragio del 18 aprile scorso. Tutti i giorni, ma proprio tutti i santi giorni, nelle interviste chiestemi graziosamente da qualche giornale o tv, negli articoli scritti e nei comunicati in rete, ho contestato quanto il premier diceva e faceva in materia di immigrazione; e non ho votato la mozione presentata dal Pd sul tema.
Poi ho sollecitato, monotonamente, una presa di posizione contro la politica governativa per l’immigrazione da parte dei leader della minoranza Pd: quegli stessi che occupavano giornali, tv e agenzie con inarrestabili flussi di sdegno a proposito della legge elettorale. Non c’è stato nulla da fare. Forse mi sono distratto e mi è sfuggito qualcosa, ma davvero non ho trovato, in tre settimane, una sola seria contestazione nei confronti di un governo che ha ridotto l’intera questione dell’immigrazione al suo atto ultimo: il ruolo dei «mercanti di carne umana». E che ha dichiarato guerra al nemico assoluto, lo Scafista, rimuovendo totalmente cause lontane e prossime, antiche e congiunturali delle grandi migrazioni in corso.
Ho sentito, piuttosto, le tonitruanti dichiarazioni dei miei pugnaci compagni della cara minoranza Pd, che rivendicavano la propria «schiena dritta» (qui, sulle colonne del Manifesto) e «un dissenso politico chiaro e forte» nei confronti della leadership del Pd. D’accordo, ma mentre ci si batteva e ci si batte come leoni contro il premio di maggioranza per la lista e contro i capilista bloccati, possibile che nessuno di questi «schienadritta» abbia trovato e trovi una parola per criticare le vacue minacce di tanti piccoli ammiragli in pedalò («blocco navale», «affondare i barconi», «sparare sugli scafisti» …), presenti anche nel centro sinistra, e per sostenere le posizioni così radicalmente diverse di Ban Ki-moon?
Concentrare la gran parte delle dichiarazioni e delle iniziative, come ha fatto Matteo Renzi, sulla figura dello scafista rischia di risultare un diversivo pericoloso. Se infatti, per ipotesi, tutti i trafficanti venissero eliminati d’un colpo solo, che ne sarebbe di quelle centinaia di migliaia di persone che si rivolgono loro per trovare una via di fuga? Certo, non li vedremmo più sulle coste siciliane e sui barconi nel Mediterraneo perché — semplicemente — sarebbero in gran parte morti prima: nei paesi da cui fuggono, nei deserti che attraversano, nei lager che li imprigionano. Forse un conforto per il nostro gusto estetico, non più ferito da immagini così sgradevoli di agonia e di morte, e per la nostra tranquillità d’animo non più turbata da tanto orrore: ma nessun vantaggio per la stabilità dell’Africa e del Medio Oriente e nemmeno per il livello di civiltà giuridica delle nostre democrazie.
E, infine, si arriva a uno dei punti cruciali. Io, indubbiamente, mostro scarso interesse e scarsa aggressività nei confronti dell’Italicum e della riforma costituzionale, ed è un mio limite. Ma non riesco a sottrarmi a un interrogativo. Quella sinistra che la minoranza Pd vorrebbe ridefinire e aggregare, quel «grande cantiere aperto» oltre il Pd, può trovare il suo asse portante nella battaglia contro la legge elettorale (e per non buttarla in caciara, evito di dire «a favore delle preferenze»)? E quella battaglia sarebbe davvero in grado di colmare il vuoto (un vero baratro) creato dall’inerzia e dal silenzio della sinistra, dentro e fuori il Pd, in materia di immigrazione? Come non comprendere che l’identità stessa della sinistra, oggi come mai, si qualifica proprio sulla sua capacità di affrontare questa ferita aperta del nostro tempo?
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