Sistema di accoglienza
Ma quale buonismo
Le politiche sull`immigrazione tra improvvisazioni e irrazionalità. Tor Sapienza e qualche numero
Il Foglio, 25-11-2014
Luigi Manconi
Uno. Certo, non era necessario che esplodesse il "paradigma Tor Sapienza" per toccare con mano la crisi drammatica, se non il fallimento, della politica italiana per l'accoglienza e l'asilo. Quella politica ha rivelato da tempo tutta la sua fragilità e i fatti più recenti riproducono, nei tratti essenziali, tensioni e conflitti già manifestatisi nei primi anni Novanta. Quando, cioè, gli stranieri in Italia erano poco più di 600mila (oggi sono circa 4milioni e 800mila). In altre parole, le aspre contraddizioni determinate dalla convivenza tra residenti e immigrati non dipendono, in primo luogo, dai numeri. Ovvero dalle dimensioni quantitative della presenza straniera. Quelle dimensioni contano, eccome, ma non rappresentano il fattore precipitante delle periodiche lacerazioni.
Ma se è vero che, a produrre i conflitti a sfondo etnico, è la struttura della politica per l'accoglienza, e la sua incapacità di programmazione e mediazione, perché mai parlare ostinatamente d'altro? Perché mai giornalisti intelligenti come Mario Ajello e Cesare Martinetti non riescono proprio - si capisce che ci provano, ma è più forte di loro - a evitare il solito armamentario dell'ideologia anti-ideologica? Ed è esattamente questa che fa capolino quando si invoca come prioritaria la "condanna di un razzismo astratto che non vuole dire niente" e di una "retorica dell'integrazione buonista" (Ajello); e si denuncia come "utopia tardo-novecentesca" il "falso mito del multi-culturalismo" (Martinetti).
Va da sé: non è il solo argomento utilizzato da questi valenti editorialisti e, tuttavia, è quello che risulta infallibilmente più suggestivo. Ma davvero pensate - amici miei, pragmatici immaginari - che le cose stiano in questi termini? Davvero siete convinti che nell'Italia di oggi dominino retoriche e dispositivi ideologici ispirati alla filantropia multi razziale? Quest'ultima, già drammaticamente gracile mezzo secolo fa, è attualmente in rotta dovunque e risulta appannaggio residuale di appena alcune minoranze, di ispirazione religiosa o di ambizione soi-disant rivoluzionaria. La gran parte delle culture che trattano l'immigrazione (sotto il profilo dell'analisi scientifica o dell'azione sociale) sono sostenute da altre motivazioni e perseguono altri obiettivi. E anche quei movimenti che valorizzano la dimensione della solidarietà come collante di una pacifica convivenza inter-etnica, appaiono consapevoli, in genere, delle enormi fatiche che ciò comporta. La parola "multiculturalismo", poi, viene utilizzata quasi solo come categoria descrittiva di una situazione in cui si trovano a contatto più stili di vita e sistemi di valori: e non certo come il tratto qualificante di una visione irenistica della società futura.
E se c'è un termine del tutto improprio rispetto ai contesti in cui si applicano le politiche per l'accoglienza e agiscono gli operatori del settore (poliziotti e preti, sociologi e mediatori) è proprio quello di "buonismo". Che è poi un lemma particolarmente rivelatore, perché costituisce l'indicatore maggiormente espressivo di una sorta di falsa coscienza dei gruppi dirigenti e dei ceti intellettuali del nostro paese. In sintesi, ci si comporta e si parla e si scrive e si formulano giudizi come se si vivesse sotto il giogo del politicamente corretto. Un apparato dispotico di senso che trionferebbe non solo in materia di immigrazione ma relativamente a gran parte delle questioni che sono oggetto di discussione pubblica. Nella mentalità corrente e, in particolare, nei facitori di opinione prevarrebbe insomma una cupa dittatura del pensiero e, soprattutto, del linguaggio, tale da uniformare il flusso del discorso collettivo, quello domestico come quello istituzionale. Così condizionando sia il senso comune, che produce quelle parole, sia gli atti che da queste discendono. Ne consegue l'idea che - se a Tor Sapienza un gruppo di delinquenti assalta un gruppo di profughi - tra le cause vi sarebbero "il buonismo" e l'illusione del "multiculturalismo". E sarebbero questi ingannevoli messaggi a impedire una seria politica verso gli stranieri. Ma va là.
L`accoglienza dei nostri emigrati
In Italia domina ben altro: una sgangherata strategia che non ha nulla di "buonista" e "multiculturalista" e che, piuttosto, è fatta di irrazionalità e sospetto, di rigidità e respingimenti, di chiusure arcigne e improvvisazione pasticciona. Prova ne è che, contrariamente a quanto vorrebbe l'opinione consolidata, i rifugiati riconosciuti dal nostro paese sono 68mila mentre in Francia sono 218mila, nel Regno unito 150mila e in Germania 590mila. E se la politica per gli stranieri, a livello centrale e locale fosse davvero ispirata dalla "retorica dell'integrazione", come spiegarsi i più recenti dati sui flussi da e per l'Italia? Nel corso del 2012 sono entrati nel nostro paese per lavoro (dipendente o autonomo) circa 37mila stranieri, e, nel 2013 il numero si è ancora ridotto (35.600); gli italiani che, nel 2012, si sono trasferiti all'estero per lavoro sono stati 78.941 e, nel 2013, già sfioravano i 95mila. Speriamo che questi nostri connazionali possano trovare nei paesi di destinazione un'accoglienza, non pretendo "buonista", ma almeno un po' "accogliente".
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