Sistema di accoglienza
Migranti, sgomberato il Baobab
il manifesto, 4-12-2015
Valentina Brinis, Valentina Calderone
Mentre state leggendo questo articolo, è molto probabile che siano in corso le operazioni per chiudere definitivamente il centro Baobab.
Negli ultimi mesi, esattamente dal giugno scorso, il Baobab è diventato un vero e proprio punto di riferimento per i migranti in transito. Ovvero per tutti quelli che dopo essere sbarcati sulle coste siciliane tentavano di percorrere la penisola senza essere identificati e superare i confini con la Francia, la Svizzera e l'Austria. Lasciare le impronte in Italia, infatti, significa rimanere legati a questo paese e non potere continuare il viaggio, come prevede il Regolamento di Dublino. In esso, però, è contenuto un altro passaggio che non viene quasi mai citato e applicato. Si tratta della possibilità per il migrante di ricongiungersi a un familiare residente in uno stato europeo, ovvero di raggiungerlo legalmente e in totale sicurezza senza dover affrontare viaggi lunghi ed estenuanti. Le testimonianze di chi ha tentato di arrivare in Svezia o in Germania senza avere il titolo per farlo (perché privi del visto) riportano tratti comuni: difficoltà a oltrepassare la frontiera a causa dei numerosi controlli, interminabili ore, quando non giorni, trascorse nelle stazioni in attesa del momento più opportuno per partire e, infine, la mente e il corpo concentrati su una priorità: evitare di essere identificati.
Da questo punto di vista, il Baobab riveste un ruolo cruciale. Qui, grazie alla generosa e tenace mobilitazione di cittadini-volontari, queste persone hanno trovato un “ristoro”, un alloggio per la notte, pasti caldi, medici per screening sanitari e operatori legali per informazioni sulle normative italiane e europee. La città di Roma è stata la prima in Italia a dover prendere atto di una realtà non più trascurabile: quando nel 2011 gli afghani che da anni si accampavano nei dintorni della stazione Ostiense vennero definitivamente sgomberati, le associazioni che si occupavano di assistenza sanitaria e legale, come Medici per i Diritti Umani, il Consiglio Italiano per i Rifugiati e A Buon Diritto, pretesero e ottennero che la nuova sistemazione includesse i transitanti, com'era la maggior parte della popolazione che lì viveva.
Ecco perché Roma non è nuova a queste vicende, ed ecco perché non è concepibile che dopo anni di esperienza si abbia la sensazione di essere tornati al punto di partenza. La tenda degli afghani è chiusa e il centro Baobab è potuto esistere solo grazie al lavoro di volontari che hanno prestato, prima ancora che ai migranti, un servizio alla collettività svolgendo un'opera di contenimento sociale e sanitario. La situazione a oggi è che il Comune di Roma deve riconsegnare i locali al legittimo proprietario, e ha proposto il ricollocamento per quasi tutti gli ospiti del Baobab. L'altro ieri sono state trasferite 39 persone in centri di accoglienza, privilegiando i soggetti più vulnerabili. Alcune delle soluzioni individuate sono nelle strutture per l'emergenza freddo, di sicuro non ideali, anche se innegabilmente meglio della prospettiva di notti invernali sotto i portici della stazione all'addiaccio. Ma la vera questione rimane, ed è tutta politica. Cosa sarebbe successo se non ci fosse stato un gruppo di cittadini che con impegno e passione ha gestito, senza alcun supporto istituzionale, le 35mile persone transitate al Baobab in questi mesi? Il tempo delle emergenze è finito – sempre che ci sia mai stato – ed è ora di concentrarsi sulla costruzione di progetti degni di questo nome. E perché no, magari proprio prendendo spunto dall'esperienza positiva della collaborazione tra soggetti diversi creatasi al Baobab.