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Le Storie

Marcello Lonzi

marcello lonziLa vicenda

Marcello Lonzi, ventinove anni, muore l’11 luglio 2003 nel carcere delle Sughere, a Livorno. Il giovane era entrato in carcere il 3 gennaio e avrebbe dovuto scontare una pena di nove mesi per tentato furto. Il pronto soccorso indica le 20.45 come orario del decesso. La notizia trapela già la sera stessa e infatti la stampa ne scrive la mattina dopo: si parla prima di un suicidio, poi di un infarto.

Maria Ciuffi, la madre di Marcello, non viene avvisata se non il giorno dopo da una zia di Lonzi. Una volta in carcere aspetta a lungo prima che la facciano entrare e all’obitorio vede la camicia del figlio sporca di sangue, cosa strana visto che la morte è attribuita a un infarto. Alcune foto scattate appena dopo il decesso mostrano il giovane disteso sulla schiena all’interno della cella, con la testa vicina allo stipite della porta, un alone di sangue molto chiaro, come se fosse stato lavato, il volto gonfio, la bocca socchiusa con alcuni denti rotti. Ha tre tagli sul lato sinistro del viso: uno sul labbro, uno sul sopracciglio, uno sulla parte alta della fronte fino all’attaccatura dei capelli.

Il processo

Nel settembre 2003 il pubblico ministero Roberto Pennisi apre un fascicolo contro ignoti per omicidio. Qualche mese dopo viene richiesta l’acquisizione delle foto del corpo di Lonzi, che vengono consegnate al pm. Ci sono tre testimoni oculari: un agente di polizia penitenziaria, il detenuto M.G. e il detenuto G.G. .

L’agente dice che stava riaccompagnando in cella M.G. quando Lonzi avrebbe proposto a quest’ultimo di bere un caffè e costui avrebbe accettato, sorseggiandolo davanti allo stesso agente. Il poliziotto sostiene di aver trovato Lonzi in buone condizioni di salute mentre G.G. era a letto e sembrava dormire. Racconta anche di aver sentito chiamare, pochi minuti dopo, e che una volta arrivato alla cella Lonzi era disteso a terra con la testa vicino all’inferriata, una piccola pozza di sangue intorno e G.G. che lo chiamava senza ricevere risposta. Avrebbe dato l’allarme e il dottore del carcere, subito accorso, avrebbe cercato di rianimare Marcello senza riuscirci. I due detenuti confermano questa versione dei fatti. Ma lo zio di Marcello, Ennio Lonzi, trasferito dopo la morte del nipote nel carcere di Livorno, viene messo in cella con M.G.. Dirà che costui è “un uomo legato alle guardie” e “che fa la spia per conto loro”.

Un avvocato che assiste alcuni detenuti della stessa sezione del carcere dove si trovava Marcello consiglia a Maria Ciuffi di continuare a ricercare la verità perché sulla schiena del figlio sono presenti segni causati da manganelli; inoltre alcuni suoi assistiti dicono che Marcello è stato picchiato dagli agenti nelle celle d’isolamento. Nessuno di loro però conferma questa versione al magistrato né testimonia in tribunale.

La consulenza medico-legale è effettuata per conto della procura dal dottore Alessandro Bassi Luciani. Da questa emergono una serie di lacune e carenze (Bassi Luciani non descrive, ad esempio, le lesioni sulla schiena, visibili chiaramente dalle fotografie, e la rottura degli incisivi), come è stato evidenziato dall’associazione A Buon Diritto. Bassi Luciani nella parte finale dell’autopsia sostiene che le ferite di Lonzi non sono così gravi da determinare la morte e che quindi le cause di questa sono da ricercare in un arresto cardiaco. I motivi del decesso non sono stati però accertati con sicurezza e quella formulata da Bassi Luciani è solamente un’ipotesi, la più “naturale”.

Nell’autunno 2003 alcuni parlamentari presentano interrogazioni e accennano alla possibilità di istituire una commissione ministeriale d’inchiesta, cosa che non verrà mai fatta. Nel luglio 2004 il pm Pennisi chiude le indagini perché a suo avviso non è emerso nulla di rilevante e avanza la richiesta di archiviazione. L’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi si oppone perché ritiene che le indagini siano state svolte in maniera superficiale. Viene nominato un consulenti di parte, il medico legale Marco Salvi, per svolgere ulteriori esami ma il cadavere di Lonzi non viene riesumato (come chiedeva invece la madre) e quindi la consulenza può basarsi solo sulle fotografie e sulla precedente e lacunosa autopsia. Senza aspettare la consulenza di parte, che verrà resa pubblica nel 2005, il giudice per le indagini preliminari Rinaldo Merani il 10 dicembre 2004 accoglie la tesi del pm Pennisi e del medico legale Bassi Luciani secondo la quale Lonzi sarebbe morto per un infarto dovuto a cause naturali. È la prima archiviazione.

Il 12 gennaio 2005 Maria Ciuffi denuncia il pm Pennisi, Bassi Luciani e un agente di polizia penitenziaria e nel corso dell’udienza relativa a questo procedimento viene presentata la contro-perizia del dottor Salvi. Il Gip Fenizia archivia la denuncia della Ciuffi ma riapre il caso, grazie alla nuova perizia medica, nel luglio 2006. Il caso è ora affidato al pm Antonio Giaconi, che autorizza la riesumazione del cadavere; il medico legale indicato è Francesco De Ferrari mentre per la famiglia interviene Marco Salvi.

De Ferrari evidenzia le carenze della perizia precedente e rivela alcuni dati fondamentali: le costole rotte sono sette e non una, tutte sul lato sinistro; lo stesso sterno è fratturato. Vengono eseguiti esami tossicologici che escludono che Lonzi avesse assunto droghe. Alla fine però, De Ferrari conferma la tesi di Bassi Luciani, e va oltre, dicendo che i passati problemi di tossicodipendenza di Lonzi non possono non aver influito e che anzi hanno accelerato l’insorgere del problema cardiaco, che il decesso è avvenuto per un forte stress emozionale e che l’aggressione da parte di terzi è poco probabile per mancanza di segni esterni visibili. Ma Salvi ci dice che anche quando lesioni sono state procurate (porta l’esempio dei fatti del G8 di Genova alla Diaz e a Bolzaneto) i segni esterni non sempre sono visibili e quindi quella di De Ferrari non è un’acquisita certezza scientifica. In ogni caso, per De Ferrari la causa della morte è da identificarsi con un’acuta insufficienza cardio-circolatoria.

Nel maggio 2008 viene iscritto al registro degli indagati G. G., il compagno di cella, ma la pista non si rivelerà quella giusta. Negli ultimi mesi del 2008 il pm Giaconi chiede la terza e ultima consulenza medico-legale affidandola a Laura Vannuccini e Floriana Monciotti. Emergono le stesse considerazioni fatte dai due pm ma con due novità: il riferimento alla denuncia di Marcello Lonzi di un pestaggio subito al momento dell’arresto e il tentativo di spiegare scientificamente la tesi dell’urto. Le due consulenti hanno scritto che le lesioni sono state procurate da un oggetto smusso e poco tagliente e poi hanno proposto come ipotesi di oggetto urtato quella del secchio di plastica trovato rotto nella cella, anche se questo ha gli angoli aguzzi e frastagliati. Salvi definisce questa terza consulenza come poco scientifica e fa notare come in una fotografia scattata durante la riesumazione del cadavere si veda un frammento di colore blu nella ferita sul sopracciglio di Lonzi. Le porte delle celle del carcere di Sughere sono blu, il secchio era rosso. La contro-perizia di Salvi non giunge in tempo: il pm Giaconi il 6 marzo 2010 deposita la richiesta di archiviazione e il capo della procura di Livorno, Francesco De Leo, in una conferenza stampa indetta a sorpresa il 19 maggio, rende pubblica l’archiviazione.

Il 29 marzo 2011 la Corte di Cassazione ha dato parere negativo circa la riapertura del processo. Maria Ciuffi decide di fare ricorso presso la Corte europea dei Diritti dell’uomo. Il 18 aprile 2012 la Corte europea boccia il ricorso dichiarandolo “irricevibile”.


Il processo dopo 12 anni dalla morte

 

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