Le Storie
Aldo Bianzino
La vicenda
Aldo Bianzino, falegname di 44 anni, muore il 14 ottobre 2007 nella casa circondariale Capanne di Perugia, dove era stato portato in seguito al rinvenimento di alcune piante di canapa indiana nella sua abitazione.
Due giorni prima, il 12 ottobre, Bianzino si trovava nel suo casolare di Pietralunga ( frazione di Città di Castello, in provincia di Perugia) insieme al figlio Rudra, 14 anni, alla compagna Roberta Radici e alla madre di lei, Sabina, quando bussano alla porta cinque poliziotti. Gli agenti, con in mano un mandato di perquisizione firmato dal pm Petrazzini, ispezionano per ore il casolare finché non trovano alcune piante di marijuana. Benché Bianzino dichiari subito l’estraneità della compagna e affermi che si tratta di una coltivazione ad uso personale, sia lui che Roberta vengono portati al commissariato di città di Castello, poi alla questura di Perugia e infine nella casa circondariale Capanne, lui in isolamento e lei nel braccio femminile. La visita medica di rito attesta che entrambi sono in buone condizioni fisiche.
Il 13 ottobre l’avvocato d’ufficio ha un colloquio con Aldo Bianzino, che trova in buone condizioni, e poi con Roberta Radici. Poco prima, Bianzino era stato portato all’ufficio del comando di polizia penitenziaria all’interno del carcere, ma ancora oggi non se ne conoscono i motivi. Secondo la testimonianza di un detenuto, quel pomeriggio Bianzino era stato fatto uscire dalla cella altre due volte: si sa per certo che nel corso del pomeriggio viene portato in infermeria, e sulla cartella clinica viene annotato solo che si tratta di una “visita”, senza alcun dettaglio ulteriore.
La mattina del 14 ottobre, intorno alle 7, un detenuto lavorante intento a fare le pulizie, scorge Bianzino seminudo ed esanime sul suo letto (le deposizioni dei testimoni non sono unanimi a proposito della posizione in cui fu trovato). Nella stanza la finestra è spalancata, malgrado sia quasi inverno. Solo un’ora più tardi gli agenti si renderanno conto della gravità delle condizioni dell’uomo. Bianzino viene allora portato in infermeria, che però è chiusa e così viene adagiato per terra. Con l'uomo sdraiato sul pavimento due medici effettuano un massaggio cardiopolmonare per tentare di rianimarlo, ma invano: alle 8.30 si constata il decesso.
Nel frattempo, Roberta Radici riceve la visita di un vice-ispettore capo, che cerca di farle confessare l’esistenza di una qualsiasi patologia pregressa di Bianzino, cosa che lei nega fermamente. Qualche ora più tardi Radici viene scarcerata e informata che in capo a due giorni verrà effettuata l’autopsia sul corpo di Aldo: queste sono le parole con cui la donna apprenderà della morte del compagno.
Il processo
Il fascicolo sul decesso viene aperto dal pubblico ministero Petrazzini, lo stesso che aveva firmato il mandato di perquisizione dell’abitazione di Bianzino. La prima autopsia riscontra lesioni al fegato, alla milza, al cervello e due costole rotte. Il medico legale Patumi, nominato dalla famiglia, asserisce che le lesioni sono effetto di “colpi dati chiaramente per uccidere”, che “mirano a distruggere gli organi vitali senza lasciare tracce esterne”. La seconda autopsia indica invece un aneurisma cerebrale come causa del decesso.
Si apre così un’indagine contro ignoti per omicidio volontario. Dai filmati delle videoregistrazioni interne al carcere, risulta che nella notte tra il 13 e i 14 ottobre non viene prestato alcun soccorso a Bianzino, che pure, secondo i detenuti ascoltati dal pubblico ministero, aveva chiesto insistentemente aiuto. Su queste basi, l’agente di polizia penitenziaria che quella notte aveva effettuato il turno di guardia viene iscritto nel registro degli indagati per omissione di soccorso e omesso sevizio. Le videoregistrazioni avvenivano solo per quindici secondi ogni due minuti, e l’agente non disponeva delle chiavi delle celle.
Nel febbraio 2008 il pm Petrazzini chiede che il fascicolo contro ignoti per omicidio volontario venga archiviato, in quanto le indagini non avrebbero fornito prove di aggressioni a Bianzino né alcuna ragione perché si potessero verificare. I legali della famiglia però si oppongono, e chiedono che venga fatta luce sui punti ancora controversi: come mai il tentativo di rianimazione di Bianzino non è avvenuto in cella?, qual è l'origine della profonda lesione epatica riscontrata in sede di autopsia?, la lesione epatica ha una correlazione con il decesso?. Contro il parere dei medici legali incaricati dalla procura, i periti della parte civile escludono totalmente che la lesione possa essersi verificata durante le manovre di rianimazione. Petrazzini, però, chiede nuovamente l’archiviazione. Ma molte altre sono le domande rimaste senza risposta. Non si sa perché Bianzino fosse seminudo e con la finestra aperta malgrado il freddo, per quale motivo non siano stati effettuati rilievi da parte della polizia scientifica nella cella, quali furono i movimenti di Bianzino il pomeriggio prima di morire e perché una delle magliette di Aldo, restituita dopo il decesso alla compagna, è stata smacchiata con della candeggina.
Nel dicembre 2010 il processo per omicidio colposo viene definitivamente archiviato. Nel febbraio 2012 l’agente Gianluca Cantoro è stato condannato in primo grado a diciotto mesi per omissione di soccorso e rifiuto d’atti d’ufficio. Il 16 aprile 2014 la corte d’Appello si è pronunciata per una pena di dodici mesi, facendo confluire l’accusa di omissione d’atti d’ufficio in quella di omissione di soccorso Nel giugno 2015 questa decisione è stata confermata in Cassazione.
Roberta Radici, insieme al Comitato Verità e Giustizia per Aldo, alle associazioni Antigone e A Buon Diritto, si è battuta per la verità sulla morte del compagno, fino a quando è scomparsa a causa di un tumore nel 2009. Da quel momento, è il figlio Rudra a portare avanti la richiesta di verità e giustizia per suo padre.