Passaggio a livello: Libero mercato e ordine pubblico: incongruenze e indolenza politica
25 febbraio 2015
Ubaldo Pacella
Efficienza e stato liberale, diritti dei consumatori e rendite di posizione, riduzione dei costi per la gran parte dei cittadini e meno guadagni per le lobbies. Un braccio di ferro che in Italia ci vede sempre perdenti. Sconfitto l’economista dei mercati finanziari Mario Monti, respinto, possiamo dire con la baionetta inastata, anche l’irruento Matteo Renzi. Il Presidente del Consiglio capace di mettere in riga i riottosi facitori del nulla polemico della sinistra del suo partito, ma inchiodato, quando si parla di apertura del mercato, alle logiche di quei poteri più o meno occulti che nessuno, sino ad oggi, è riuscito nemmeno a scalfire. Il consiglio dei ministri di venerdì 20 febbraio, ben oltre le dichiarazioni alla Dumas elargite nella sala stampa di Palazzo Chigi, ha prodotto un flebile venticello di novità. Appena appena uno zefiro primaverile, capace di carezzare aree di interesse talmente marginali da non destare né interesse né sdegnate reazioni delle parti politiche, siano esse di Governo o di opposizione.
Si potranno accampare scuse per farmaci, taxi o porti di vario genere: pannicelli caldi destinati a non coprire la nudità dei fatti. Nessuno provi a mettere le mani sui mercati veri, quelli che determinano prezzi, vantaggi e difese corporative, che nemmeno uno scapestrato scrivano fiorentino si può permettere di lambire.
Il Governo, in realtà, non ha provato a scalfire minimamente i santuari della resistenza ad oltranza al mercato. Paladini apparenti, con il petto in fuori forse per lucrare prestigio, sono stati il ministro della sanità Lorenzin e quello delle infrastrutture e trasporti Lupi. Il ministro dello sviluppo economico, nonostante la sua marcata matrice confindustriale, o forse, viene da pensare, proprio a causa di questa imprenditorialità, non ha fatto vibrare le paludate stanze di Palazzo Chigi con i propri veementi rimbrotti alla tiepidezza del Governo sulle liberalizzazioni. Il risultato, non c’è dubbio alcuno, molto sconfortante più per i cittadini italiani, che per il Governo, è quello di aver messo mano all’organizzazione del lavoro attraverso il Job Act, quale ne sia l’esito finale, augurabilmente positivo soprattutto per i giovani e la platea sempre più gonfia dei disoccupati, senza nulla toccare degli interessi veri e consolidati che spadroneggiano nel Paese.
Dimostrare di essere tetragoni con i deboli, in questo caso i lavoratori, gli artigiani, i professionisti delle partite iva e al tempo stesso docili, riverenti e servizievoli con i forti come lo sono gli esponenti di una politica che in Italia è abituata a navigare molto lontano dagli interessi reali. Una costante mai variata da Quintino Sella a Crispi, da Giolitti a Volpi di Misurata sino alla repubblica di Vanoni, di Andreotti, di Craxi, ancor più del duo Tremonti-Berlusconi, ultimo arrivato il gran Matteo, roboante nelle dichiarazione quanto astuto e prudente nei passaggi più delicati, forse in questo aiutato dai troppi critici che, inseguendolo come una muta di cani famelici, favoriscono le sue incertezze o gli costruiscono comodi alibi per scelte ambigue o poco coraggiose.
Verrebbe da chiedersi se non fosse compito dell’unica vera opposizione al Governo Renzi, quella della minoranza del PD, farsi interprete di poche qualificanti proposte che possono aiutare tutti i cittadini, soprattutto i più fragili e privi di risorse
Da parte della minoranza del Pd avrei voluto, piuttosto, un progetto dotato di più coraggio e determinazione, e si sarebbe potuto dire a gran voce: avrai il sostegno incondizionato anche della sinistra del PD, caro Matteo, se interverrai con coraggio sulle liberalizzazioni in modo tale da minare le rendite e fare gli interessi diretti di milioni di italiani. Abbiamo ascoltato, invece, Il silenzio tombale forse perché quelle forti lobbies sono capaci di infiltrarsi e di essere udite anche tra i professionisti dell’antirenzismo.
Ricordiamo, d’altro canto, quanti regali abbia fatto la sinistra italiana ad imprenditori cosiddetti amici spacciandoli per liberalizzazioni e privatizzazioni, pensiamo solo agli anni di Massimo D’Alema. Le vicende Telecom o quella Autostrade, tanto per non fare nomi, le ricorda qualcuno?
Le lenzuolate di Bersani, a ben vedere, si pensi all’energia e all’ENEL, si sono tradotte in un aggravio di costi per tutti i cittadini e a un fallimento talmente acclarato che nessuno ha più voglia di nasconderlo.
Queste premesse non potevano lasciare alcun margine all’incisività dei provvedimenti economici del Governo. Federfarma all’unisono con i farmacisti e le case produttrici di medicinali hanno innalzato una barriera invalicabile, messo davvero in ansia il ministro Lorenzin, terrorizzata all’idea di importare un pò di Stati Uniti in Italia. Liberale sì, si deve esser detto il ministro, ma rischiare di far diminuire realmente i prezzi dei farmaci per decine di milioni di cittadini e soprattutto pagarli meno da parte del servizio sanitario nazionale sarebbe stato un grave attentato di stampo sovietico alla libera impresa di far soldi con le tasche di lavoratori e pensionati. Un sistema contraddistinto dalla collusione di interessi tra tutti i soggetti in campo, tranne i malati. Poi che a risparmiare siano le famiglie, alle quali si chiede di far aumentare i consumi, non interessa di certo al Governo movimentista di Matteo Renzi. Davvero esilarante il compiacimento del ministro Lorenzin per questa vigorosa ondata di liberismo approvata dal Consiglio dei Ministri, con tutte norme che riguardavano altri dicasteri. Come a dire andate avanti voi che a me vien da ridere.
Una interpretazione fatta propria dal ministro Lupi, che per proteggere il recinto delle proprie prerogative ha demandato a futura memoria gli interventi sui trasporti. Non ha avuto nemmeno il pudore di celare la paura del ricatto dei tassisti, anzi li ha chiamati direttamente in causa come protagonisti di un possibile fallimento dell’Expo. Non era costui il vessillifero di una rigida regolamentazione per il diritto di sciopero? Dobbiamo giustamente pretendere che sia rappresentata al Teatro alla Scala il 1 maggio la Turandot di Puccini, nonostante l’incomprensibile riottosità di uno sparuto manipolo di tecnici, e non saremmo capaci di far fronte alla più frustra minaccia corporativa dei tassisti milanesi? Tanti sono in attesa di lavorare, superando barriere non ideologiche ma di interessi occulti. Saranno nell’ambito della mobilità le proposte innovative a scalzare le rendite, si chiamino Uber o Car city, prima o poi la grande innovazione tecnologica riuscirà a far incontrare il lavoro, la trasparenza con le esigenze di muoversi rapidamente a costi contenuti. Cadranno allora fragorosamente in una nube di polvere tutti i muri che oggi ci ostiniamo ad erigere o che peggio non si ha la voglia di scalfire.
L’incapacità dello Stato in Italia a far rispettare i principi del vivere civile e della libera associazione sociale, prima ancora che le regole, è stata del resto illuminata con lancinante tristezza da qualche centinaio di teppisti e facinorosi olandesi, capaci di mettere a sacco a Roma nella capitale il cuore elegante della città da Piazza di Spagna a Campo dei fiori, senza trovare ostacolo alcuno. Una pagina sciatta e triste della nostra quotidianità cui ha fatto da sfondo una singolare dichiarazione del questore, in occasione della conferenza stampa seguita a livello planetario, dove ha "rivendicato" l’impotenza delle forze di polizia. Impotenza presentata come una combinazione virtuosa tra ricerca del male minore e tolleranza verso violenti ed esagitati, al fine di non pregiudicare sicurezza e incolumità di cittadini e turisti. Noi modesti e rispettosi cittadini, invece, ci meritiamo le mazzate dei celerini, dei poliziotti e dei vigili per nostre eventuali infrazioni.
Un Paese che accetta impunemente di veder lordate le proprie strade da ubriachi tracotanti senza intervenire con una ruvida durezza repressiva, come potrà fronteggiare i mercati, i grandi interessi finanziari, i vantaggi di chi su queste macerie sociali e morali ha finito per prosperare per decenni? Mi permetto di chiamare a viva voce il caro e apprezzato Presidente del Consiglio: scenda lui in strada, ci faccia rispettare come italiani e prenda non solo metaforicamente a calci tutti coloro che impunemente umiliano la nostra dignità di uomini e di cittadini, a cominciare da quelli che dovrebbero dettare le regole tra Consiglio dei Ministri e Parlamento e coloro che dovrebbero farle rispettare senza volgere lo sguardo dall’altra parte e arrendersi all’oltraggiosa arroganza della convenienza, sia essa economica sia essa materiale.
Fonte immagine: it.paperblog.com