Privazione della libertà
Un caso basco a Roma
Pubblichiamo qui di seguito la lettera aperta scritta dalla moglie di Carlos Garcìa Preciado, ex militante basco arrestato a Roma il 24 febbraio dell'anno scorso e detenuto a Roma, in attesa che la Cassazione si pronunci sulla sua estradizione.
Questa è la storia di un uomo, un popolo ed un bambino.
Il 24 febbraio di quest’anno, la DIGOS, l’Interpol e la polizia spagnola, sono andati ad arrestare Carlos, mentre era con il figlio con il quale sceglieva uno stendino per i panni in un negozio di casalinghi.É un uomo normale che fa la spesa, si occupa del figlio e di mestiere fa l’imbianchino, lavoro per il quale è molto apprezzato soprattutto per la sua onestà e la sua puntualità. Carlos è un uomo corretto.
Nel 1997 è stato accusato dal Regno Spagnolo di aver buttato di notte una molotov in una banca; lì vicino c’erano delle tubature di gas che sono esplose e, accidentalmente, hanno fatto scoppiare un incendio all’interno dell’edificio, nessun presente, nessun ferito.Nel 2000 è stato condannato a 16 anni di reclusione.
Quella sera Carlos non era lì, si trovava al compleanno della nonna.
Quella sera una testimone sente un forte rumore, si affacciava dal quarto piano del suo palazzo; è notte e l’illuminazione è scarsa. Una nube di fumo dell’incendio comincia ad alzarsi verso la sua finestra, ma lei riesce a scorgere una persona che si allontana: si tratta di un maschio con un “turbante” in testa. La camminata “spavalda” è diventata l’unica prova della presenza di Carlos in quel luogo. Lei diventerà la testimone sulla quale si basa il riconoscimento di Carlos, lei che non lo ha mai visto in volto sa dire che quella figura in mezzo al fumo, dal quarto piano del suo palazzo, di notte, è Carlos.
Lei lo conferma dopo ore di interrogatorio, poi lo rinnega nei vari giudizi del processo. Lei, la testimone chiave al processo, negli ultimi appelli non c’è.Nessuno ascolterà la sua testimonianza se non chi ha sottoposta questa donna all’interrogatorio.Basta questo per far condannare Carlos. Basta questo ed essere un simpatizzante dei separatisti per l’indipendenza del popolo basco. Una pena ingiusta e spropositata, un processo ingiusto ed infondato.Tutto quello che viene raccolto a suo carico sono: pennelli da imbianchino, secchi di vernice, un parrucca bionda…. inoltre la perquisizione nella sua abitazione è stata effettuata 3 mesi dopo.
Lo stato spagnolo, per reprimere il popolo Basco ha molti mezzi. L’ interdizione della lingua, illegalizzare giornali e partiti politici, arresti di avvocati e volontari medici, informazione faziosa, dispersione dei prigionieri, tortura… e anche trovare un capro espiatorio per infliggere pene esemplari.Carlos si è trovato a subire una condanna unica e spropositata anche per l’epoca, in cui la lotta per l’indipendenza Basca era molto viva. 16 anni per un fatto non commesso. Anche l’avvocato dell’accusa nel processo italiano ce lo ha detto: la pena è spropositata rispetto al reato.
Anche Carlos porta delle persone che dovrebbero essere ascoltate, testimoni che dicono che lui quel giorno non era lì, quel giorno lui era da un’altra parte. Nessuno dà loro peso. Nel 2000 è scappato ed è venuto in Italia. Ha condotto una vita non facile. Un uomo che non esiste, senza identità, ricercato. Ha lavorato sempre come imbianchino, ha formato una famiglia ed ha un figlio di 6 anni che ora si trova senza padre.
Torniamo a quel brutto 24 febbraio. Dopo le perquisizioni, la questura, l’arresto, gli articoli di giornale del giorno seguente in cui si scriveva di un eclatante arresto di un esponente terrorista dell’Eta, con a disposizione case di appoggio per scopi non chiari……(casa al mare dei miei genitori e casa dei miei genitori)…….le menzogne garantiste della Spagna e l’alleanza dell’Italia in una fuorviante informazione della realtà dei fatti continuano.
Carlos è stato portato a Rebibbia dove fino a pochi giorni fa ha vissuto in isolamento con tutti i disagi che ciò può comportare: stare solo 24 ore su 24 per 8 mesi. Ora, se possibile la situazione peggiora: il 20 ottobre, senza preavviso, senza comunicarlo a nessuno, lo hanno trasferito nel carcere di Rossano, in Calabria; lo hanno trasferito in un carcere di massima sicurezza insieme ai terroristi, quelli veri.
Il 25 Novembre ci sarà l’appello in cassazione per l’estradizione.Ora vorrei dire due ultime parole per nostro figlio e il trauma che ha subito e sta tutt’ora subendo. Il 24 febbraio quando i funzionari sono venuti in casa, c’erano tante persone, tanti sconosciuti e nonostante le accortezze per il bimbo, la situazione era anormale e dalla mattina dopo il papà non era più con lui e tutto era diverso. Dopo un mese e mezzo dall’arresto ho dovuto affrontare la realtà. É stata una decisione drammatica e devastante: spiegare in qualche modo a nostro figlio quello che stava accadendo e farlo entrare in un posto dove non avrei mai voluto farlo entrare. L’impatto con il carcere è stato terribile ma ho dovuto farlo per tenere uniti un padre con un figlio, per permettere al bambino di continuare a stare “vicino” al padre. Anche Carlos ha potuto così vedere la persona più importante della sua vita.
Però ripeto l’impatto è stato terribile.Spazi non idonei, attese interminabili, gente che urla, porte che sbattono, controlli e trattamenti come fossimo dei criminali. Ero appena riuscita a far trovare al bimbo un minimo di equilibrio, aveva appena accettato la situazione e l’impatto con quel luogo che arriva il trasferimento improvviso, senza avviso e due giorni prima del colloquio con il bimbo, a 600 km di distanza ... Anche spiegare i fatti accaduti e perché non è facile, troppo complicato da capire per un bimbo così piccolo.La situazione del padre e l’impatto nella vita quotidiana del bimbo è stato forte. Dirlo, non dirlo, a chi dirlo si vergogna o no…..tanti gli interrogativi e le incognite!
Altra cosa che non facilita la vita è la burocrazia, lenta disinformata, formalmente piena di compilazione di moduli per avere dei moduli per andare in uffici che rilasciano moduli, persone poco informate e tanta pazienza e perdita di tempo. La grande fortuna è la vicinanza di tante persone che hanno conosciuto Carlos come padre, lavoratore ed amico e trovano allucinante questa situazione, o anche solo persone solidali con il popolo basco. La solidarietà dimostrataci dagli amici vecchi e nuovi è stata fondamentale per non sentirci soli in questa situazione ingiusta e difficile. La storia continua, gli appelli e le sentenze non sono finite e l’indifferenza o la cattiva informazione dello “Stato Italiano”, fanno si che dei problemi decennali che sono vicino a noi non si sappia nulla o che ne vengano travisati i fatti.
Lettera aperta di una mamma e moglie.
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