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Bergonzoni e il carcere da abolire
la Repubblica, 21-11-2015
VALERIO VARESI
C'è molto di inconsueto nel presentare dentro un carcere un libro che ha per titolo Abolire il carcere con una platea equamente suddivisa tra detenuti e cittadini (cinquanta per parte) più una rappresentanza degli agenti di custodia. Ma quando c'è di mezzo Alessandro Bergonzoni, tutto è inconsueto, eccentrico, nuovo e sorprendente.
Sabato alle 10,30, l'inedita presentazione del lavoro di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, avverrà dentro il penitenziario della Dozza con l'artista bolognese a illustrare i contenuti del saggio. «Spazziamo via gli equivoci – esordisce Bergonzoni – non si tratta di abolire la pena, ma di cambiarne la modalità togliendo dalla carcerazione quell'elemento di violazione e vendetta che oggi viene perpetrato. Privare della libertà non vuol dire vessare». Utopia? Tutt'altro. Realpolitik piuttosto. Su 5000 detenuti che escono dalle carceri italiane, 3900 tornano dentro.
Nel nord Europa, dove si applicano pene alternative alla galera e tendenti al recupero, la percentuale di recidività è appena del 10%. In altre parole: il carcere è un'istituzione costosa e poco produttiva. «Nessuno si sogna di far uscire persone che hanno commesso reati gravi – precisa Bergonzoni – ma il 70% di chi è dentro è composto da detenuti che hanno commesso reati minori. Mantenerli in un ambiente che li abbruttisce e li priva dei più elementari diritti, non significa certo né rieducarli, né recuperarli, ma caricarli di nuovo rancore e portarli a reiterare l'illecito».