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Grecia, nell'inferno di Lesbos dove i migranti aspettano anche 10 giorni prima di essere registrati

art rep 28 ottola Repubblica, 28-10-2015
GIACOMO ZANDONINI

Con la pioggia e il mare grosso non si ferma il flusso di persone - in gran parte siriani, afghani e irakeni - che dalla Turchia arrivano in Grecia: 48mila in cinque giorni solo nell'isola di Lesbos, con un picco giornaliero di 11mila lo scorso 20 ottobre. Almeno 20 i morti segnalati dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)

ROMA - Giorni di pioggia continua e mare grosso non hanno fermato migliaia di persone - in gran parte siriani, afghani e irakeni - arrivate dalla Turchia alla Grecia nelle ultime settimane, facendo registrare un record di sbarchi, 48mila in cinque giorni solo nell'isola di Lesbos, con un picco giornaliero di 11mila lo scorso 20 ottobre e un calo dal weekend, con circa 4mila sbarchi nella giornata di ieri. Almeno 20 i morti segnalati dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) nello stesso periodo, gli ultimi due proprio ieri.

Un vero e proprio inferno. Al di là dei numeri, che superano quelli dell'estate passata, quando l'improvvisa convivenza fra rifugiati e turisti aveva portato le isole greche al centro delle cronache internazionali, volontari e associazioni denunciano oggi le drammatiche condizioni di vita dei migranti. Un vero e proprio inferno fatto di attese estenuanti: fino a dieci giorni per essere registrati e poter dunque lasciare l'isola, immersi nel fango e senza un riparo, con temperature sempre più rigide e centinaia di bambini a rischio di malattie. Un nuovo trauma per chi arriva, che ha spinto addirittura un bambino siriano di 11 anni a tentare il suicidio all'interno dell'hotspot da poco inaugurato sull'isola.

Scene di guerra. "Forse il peggio è passato, ma non lo dimenticherò mai". Merel Graeve, giovane art-director per il cinema, è fra le decine di volontari giunti da tutta Europa e negli ultimi dieci giorni ha lottato con il fango, con l'impossibilità di distribuire tende, vestiti e cibo a tutti e con l'assenza delle istituzioni. "Un giorno", spiega, "passando vicino alla fila per il campo di Moria, dove si viene registrati, una donna mi tira fino alla sua tenda, dove trovo cinque bambini piccoli, mezzi nudi e con i piedi congelati che urlano per la fame, la febbre, pieni di urina... Con il marito si erano persi di vista dopo lo sbarco, e da giorni erano lì senza nulla, quella donna era disperata".

Nel campo di Moria. Vicende tragicamente "normali" attorno al campo di prima accoglienza di Moria, che dovrebbe registrare in tempi rapidi i migranti di passaggio, fornendo un'assistenza di base e dando la possibilità di ripartire, dirigendosi ad Atene, ma che, dall'apertura come "hotspot", lo scorso 16 ottobre, ha rallentato in modo drastico le procedure, tanto che l'associazione tedesca Welcome to Europe parla di "scene di guerra, in cui persone senza nulla, sopravvissute per miracolo, sono rimaste in fila per giorni sotto la pioggia, solo per un foglio di carta".

Nessuna prima accoglienza. I gommoni, solo ottanta quelli partiti nella giornata di ieri, arrivano soprattutto nel nord dell'isola e, con il mare mosso, riescono a sbarcare in sicurezza grazie all'intervento di volontari, pescatori del posto e di Proactiva Open Arms, gruppo di guardie costiere volontarie catalane, presenti a Lesbos dai primi di settembre. Testati per 20 persone, sono utilizzati da 50 alla volta e poi abbandonati sulla spiaggia. Nessuna autorità è presente al momento degli sbarchi, che avvengono in un tratto di costa di diversi chilometri.

L'arrivo della nave "Lady s.o.s." L'italiana Nawal Soufi, "lady sos" per i siriani in viaggio, che dal 2013 la chiamano quando le imbarcazioni sono in difficoltà, ha da poco lasciato la Sicilia per l'isola greca, dove ha trovato una "realtà inaccettabile per l'Europa del 2015". Mentre gestisce sei chiamate di soccorso da altrettante barche, racconta di aver "preso al volo un bimbo di 15 giorni da un gommone, prima che urtasse gli scogli, avvolto in buste di plastica per tenerlo asciutto" e che, dopo lo sbarco, "i rifugiati, già tutti bagnati, devono percorrere alcuni chilometri fra la spiaggia e i centri di identificazione di Oxy (un ex-discoteca utilizzata da Unhcr per la primissima registrazione) e di Skala Sykamineas, aiutati da volontari che fanno la spola in macchina per accompagnare soprattutto i bambini, che sono moltissimi".

A piedi attraverso l'isola. Da qui a Mitilini, capoluogo dell'isola, ci sono però 70 chilometri, che chi sbarca percorre a volte a piedi, essendo insufficienti gli autobus dell'Unhcr. "Spesso", continua Soufi, "piuttosto che dormire bagnati sulla strada, si avviano di notte, senza vestiti né scarpe e con l'unico aiuto di alcuni volontari che distribuiscono un po' di cibo". Una volta nella cittadina, le famiglie siriane devono recarsi nel centro di prima accoglienza di Kara Tepe, mentre tutti gli altri saranno registrati nella struttura di Moria, l'ex-base militare riconvertita in hotspot.

La fittizia distinzione fra profughi e "migranti economici". Due gli ingressi: uno per i siriani senza famiglia, uno per tutti gli altri - afghani, pakistani, iraniani, irakeni e anche somali, maliani, senegalesi - che, nell'ottica di una fittizia divisione fra migranti economici e richiedenti asilo, potrebbero in futuro essere respinti. "A partire da ieri le procedure sono diventate più veloci, e alcuni siriani arrivati di mattina già entro la sera erano stati registrati, potendo prendere il traghetto per Atene", ma, spiega Soufi, "solo stanotte almeno 150 persone hanno dormito al freddo e numerosi sono i casi di ipotermia, con rischi gravi per i bambini e le donne incinta, tanto che ho sentito di diversi aborti spontanei".

Indesiderati in Turchia. Se la Turchia ha aperto le frontiere a milioni di rifugiati siriani, oggi per molti di loro, privi di uno status giuridico e dunque senza una prospettiva di integrazione, e con il rischio di essere rimpatriati, la traversata dell'Egeo è l'unica scelta possibile. E' il caso di Abdurrazak, incontrato da Merel Graeve. Web-designer di Raqqa, l'uomo ha rifiutato di arruolarsi sia nel Free Syrian Army che nell'esercito di Bashar Al-Assad, subendo torture inenarrabili e continue minacce, anche una volta giunto in Turchia.

A Lesbos situazione ancora tragica. Unica strada il mare, come per i due giovani che, racconta commossa Nawal Soufi, "sono scappati solo tre settimane fa dalle prigioni di Assad, dove sono stati torturati per un anno, e ora sono qui, con traumi psicologici e segni di ferite su tutto il corpo, costretti di nuovo a soffrire, a aspettare ore e ore al freddo, nell'incertezza più totale, mentre ancora non abbiamo sentito di nessun caso di ricollocamento verso altri paesi europei". Nonostante le promesse dell'UE - 50mila nuovi posti di accoglienza in Grecia - la situazione a Lesbos continua insomma a essere tragica, come conferma il tentativo, da parte di un ragazzino di 11 anni, di impiccarsi all'interno dell'hotspot. Gesto sventato da alcuni coetanei, ma che dice molto su come l'Europa accoglie chi fugge dalla disperazione.

Pubblicato: Mercoledì, 28 Ottobre 2015 11:22

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