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Gorizia in trincea: contro i migranti

art mani 27 ottil manifesto, 27-10-2015
Ernesto Milanesi

Friuli Venezia Giulia. Niente diritti né accoglienza per i migranti. Costretti a bivaccare lungo il fiume Isonzo

Sotto il castello la «guerra mon­diale» non fini­sce mai. Un secolo dopo la trin­cea è altret­tanto spietata.

Il sin­daco Ettore Romoli, erede del gene­rale Cadorna, ha sta­bi­lito che Gori­zia è di nuovo zona franca: diritti umani, leggi, per­fino il più ele­men­tare buon senso non si appli­cano. C’è il nemico alle porte del muni­ci­pio, conta solo la difesa della città irre­denta, biso­gna sven­to­lare la ban­diera etnica. La Grande Guerra 2015 signi­fica cre­dere di essere fuori dal mondo, obbe­dire al più bieco «auto­no­mi­smo» e com­bat­tere come un fante classe 1938.

Quest’angolo di Nord Est si rivela avam­po­sto della migra­zione biblica. Con la jun­gle — fra la bosca­glia sotto il parco e il fiume — che ripro­duce in scala quella di Calais. Con i volon­tari di «Insieme con voi» che assi­cu­rano tende, coperte, cibo, medi­cine. Con afghani, paki­stani, siriani let­te­ral­mente invi­si­bili per le auto­rità. Con i fasci­sti di Casa Pound e Forza Nuova che riem­piono l’indifferenza demo­cra­tica: pros­simo appun­ta­mento sabato, all’insegna del filo spi­nato come solu­zione finale…

Così rispunta l’eco della can­zone rimossa dalle grandi e pic­cole firme della sus­si­dia­rietà nazio­nale. «O Gori­zia tu sei male­detta,? per ogni cuore che sente coscienza» rim­balza dai muli­nelli d’acqua che il 7 ago­sto hanno inghiot­tito Tai­mur, poco più di vent’anni in fuga dal Paki­stan; fischia nella piog­gia che un paio di set­ti­mane fa ha infan­gato ancor di più gli indi­geni con­cen­trati su decoro e sicu­rezza; bussa all’ufficio del pre­fetto Isa­bella Alberti (erede del col­lega Vit­to­rio Zap­pa­lorto) pre­oc­cu­pata dell’equilibrio poli­tico che man­tiene in sin­to­nia governo Renzi, giunta Ser­rac­chiani e mag­gio­ranza locale Fi & Lega; chia­merà pre­sto in causa la pro­cura della Repub­blica con il docu­men­tato espo­sto affi­dato all’avvocato Marco Barone.

Gori­zia è fuo­ri­legge. Come se fosse l’Ungheria di Orbán, pronta magari a repli­care la Bul­ga­ria. E pro­duce la fab­brica d’odio che si nutre di omertà, egoi­smo, irre­spon­sa­bi­lità e pro­pa­ganda. Eppure un drap­pello di donne resi­ste: hanno «adot­tato» i migranti come figli dello stesso mondo e si dan­nano l’anima affin­ché non siano più fan­ta­smi. Sfi­dano la paura delle pan­te­gane pur di visi­tare l’accampamento sull’Isonzo. Otten­gono qual­che coperta, anche se il magaz­zino comu­nale le avrebbe riser­vate… ai cani. Fanno la spola in Croa­zia e Slo­ve­nia per ricam­biare gene­ro­sità. Orga­niz­zano con par­roci, medici, fami­glie la quo­ti­diana cura della «invi­si­bile comu­nità». E sma­net­tano al com­pu­ter pur di avere qui Moni Ova­dia, Zoro di Gazebo, Luigi Man­coni o adesso gli europarlamentari.

È l’istinto che avrebbe dovuto spin­gere i rap­pre­sen­tanti dell’Italia uffi­ciale a non abban­do­nare minori, a non chiu­dere gli occhi sull’emergenza, a non girare le spalle alla realtà. Da mesi si sa che i fur­goni sca­ri­cano dall’autostrada i pro­fu­ghi davanti al car­tello di Romans (che però non è Roma capi­tale…). La mèta dipende dalla com­mis­sione che valuta le richie­ste d’asilo: fino a pri­ma­vera Gori­zia era l’unica sede dell’intero Nord Est e ora con­ti­nua a smal­tire le pra­ti­che di tutto il Friuli. Pas­sag­gio cru­ciale nell’infinito viag­gio verso l’Europa promessa.

Eppure, nulla è cam­biato rispetto al primo impatto. Anzi. Romoli (ex par­la­men­tare, asses­sore regio­nale e super-coordinatore di Fi) in pieno inverno aveva fir­mato l’ordinanza «anti bivacco» per sgom­be­rare i migranti. E il fami­ge­rato Cie di Gra­di­sca d’Isonzo — chiuso dall’autunno 2013 – viene rici­clato come futu­ri­bile hub con il bel risul­tato di con­cen­trare cen­ti­naia di pro­fu­ghi nel paese di 6.500 abi­tanti, per­ché il capo­luogo pre­tende di respingerli.

L’arcivescovo Carlo Maeia Redaelli ha riba­dito la volontà di non diser­tare il fronte della sup­plenza: «Fra Gori­zia e pro­vin­cia non siamo affatto all’anno zero: il Naza­reno ospita una novan­tina di richie­denti asilo e il dor­mi­to­rio Fai­dutti offre un letto ad altri 30–40. Senza con­tare la mensa dei Cap­puc­cini, la cena alla Madon­nina e l’apporto di tante altre par­roc­chie. Fac­ciamo parec­chio. Faremo ancora di più».

Lati­tano, invece, i soliti. Medici senza fron­tiere rilan­cia l’allarme: «Mai visti così tanti migranti costretti a dor­mire nei boschi, a due passi dalla città». E l’assessore pro­vin­ciale Ila­ria Cecot rac­conta scan­da­liz­zata: «Ho ancora nelle orec­chie il rumore dell’acqua del fiume arrab­biato e il silen­zio assor­dante delle isti­tu­zioni. Il pre­al­larme nella jun­gle era scat­tato la mat­tina del 14 otto­bre, quando l’Isonzo regi­strava una por­tata di 850 metri cubi al secondo. Nes­suno si è pre­oc­cu­pato di veri­fi­care se esseri umani fos­sero in peri­colo. Nes­suno della pre­fet­tura né la Pro­te­zione civile del Comune. L’assessore Del Sordi era impe­gnato, esat­ta­mente in quei momenti, nella con­fe­renza stampa con­tro l’accoglienza. Era­vamo in tre con il regi­sta Andrea Segre e un cara­bi­niere. Poi si sono aggiunti alcuni volontari».

Bar­bara Fran­zot, con i volon­tari, non smette di pre­oc­cu­parsi. Scen­dono al fiume a veri­fi­care la situa­zione. Rac­co­man­dano di usare l’unica fon­ta­nella di acqua pota­bile. E regi­strano i malanni di chi dorme come può. Le donne cuci­nano in patro­nato insieme ai migranti. Intanto c’è chi gioca a cal­cio e vol­ley o prega rivolto alla Mecca giu­sto sotto il cam­pa­nile. Soprat­tutto cam­peg­gia l’ultima «con­qui­sta»: due bagni chi­mici, for­niti dalla Cari­tas e pre­ziosi quanto il piatto caldo.

Forse, se il resto d’Italia si accor­gesse final­mente della stu­pida e peri­co­losa «guerra di Ettore», potrebbe impa­rare da Linda Toma­sin­sig che da sin­daco Pd ragiona a voce alta. «Un maxi-Cara nel nostro Comune? È deci­sa­mente meglio dell’Isonzo o di un parco: ne siamo certi. Ma lo siamo altret­tanto del fatto che rispo­ste migliori pos­sano e deb­bano venire da altri luo­ghi e in altri modi. Alla pre­fet­tura sono state pre­sen­tate varie solu­zioni da Cari­tas, Pro­vin­cia e Medici senza fron­tiere: ma in tutti que­sti mesi non hanno rite­nuto di accet­tarne alcuna, pre­oc­cu­pati più di urtare il col­lega del capo­luogo che di adem­piere al dovere dell’accoglienza» scandisce.

Ecco, il bivacco di Gori­zia è il vero spec­chio della nostra anima nera. Con buona pace dei caduti nella trap­pola della paura. I panni stesi ad asciu­gare sul monu­mento ai depor­tati appar­te­ne­vano a chi deve soprav­vi­vere in un lager a cielo aperto. «Modello Friuli»: fun­ziona per Romoli, ma anche per la vice-Renzi che governa a sta­tuto speciale.

Pubblicato: Martedì, 27 Ottobre 2015 13:13

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