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«Chiudere le carceri e trovare pene più utili»

ferrraraLa Nuova Ferrara, 03-10-2015

Samuele Govoni

Internazionale 2015 a Ferrara. Dibattito alla Sala Estense tra Luigi Manconi e Alessandro Bergonzoni Il confronto tra il sociologo e l’attore su un tema molto delicato

FERRARA. Il maltempo non ha impedito a Luigi Manconi e Alessandro Bergonzoni, rispettivamente sociologo e attore, di incontrare il pubblico di Internazionale Ferrara. L'incontro che inizialmente avrebbe dovuto tenersi in piazza Municipale si è infatti svolto all'interno della Sala Estense. Una Sala Estense sold out, ma c'era da aspettarselo. Tema dell'appuntamento, che rientrava nel filone “Diritti” era “Abolire il carcere”, libro pubblicato da Manconi per Chiarelettere lo scorso aprile. La conversazione sul corpo e la libertà tra il sociologo e l'attore, ha dunque indagato sull'utilità effettiva o presunta che le carceri hanno oggi, soprattutto nel nostro Paese.

L'interrogativo se lo pose già nella prima metà del Novecento il grande scrittore John Steinbeck, che nel suo “Furore”, si chiedeva se il carcere fosse più utile o deleterio per il reinserimento dell'individuo nella società. Da allora molte cose sono cambiare ma in Italia, chi ruba in un supermercato può ancora ritrovarsi detenuto accanto chi ha compiuto crimini efferati. In “Abolire il carcere”, volume firmato oltre che da Manconi anche da Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta e con la prefazione di Gustavo Zagrebelsky, vengono indicate 10 proposte, già oggi attuabili, per “provare a diventare un paese civile e lasciarsi alle spalle decenni di illegalità, violenze e morti”, come si legge nella scheda del volume. «Il carcere si è dimostrato una pena nociva e inefficace e queste sono già due buone ragioni per abolirlo. Sembra un'utopia ma - spiega Manconi - anche chiudere i manicomi sembrava impossibile invece grazia a a Basaglia è stato possibile. Chiudere le carceri non significa abolire la pena, bensì trovare pene più utili al reinserimento dell'uomo».

E Bergonzoni aggiunge: «Non è niente di utopico, anzi è un ragionamento concreto, poetico e artistico prima ancora che politico e sociale. Non parlarne è anti politico, un legislatore deve pensare a nuove strade, concepire nuove vie. Chi sta bene anche se esiste il carcere è perché è fuori e lontano da quella realtà, è perché non la conosce». Basta ascoltare la descrizione di una comune cella per rabbrividire, per capire che gli uomini rinchiusi al suo interno spesso e volentieri perdono non solo la libertà fisica ma anche la dignità. «Non possiamo sempre dire: Non posso fare niente».

Pubblicato: Domenica, 04 Ottobre 2015 21:17

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