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Il nostro diritto a non tollerare gli intolleranti
L'Huffington Post, 18-09-2015
Luigi Manconi
Devo dire che, a quel che ricordo, ho votato sempre a favore della insindacabilità delle dichiarazioni dei parlamentari, spesso in dissenso rispetto alle decisioni adottate dalla Giunta per le autorizzazioni e dal mio gruppo senatoriale. L'ho fatto perché ritengo che si debba interpretare nella maniera più ampia e incondizionata la libertà di pensiero e di parola; che una società democratica abbia la forza, debba avere la forza, di accettare le critiche dei suoi contestatori, anche i più radicali; e che la lotta politica non debba essere sottoposta a censure preventive e a interdizioni morali, se non quando volontariamente scelte dal diretto interessato.
E tuttavia, ho votato a favore della sindacabilità delle parole pronunciate dal senatore Calderoli contro Cecile Kyenge: "Quando vedo uscire delle sembianze di orango, io resto ancora sconvolto" (Treviglio, luglio 2013). Ed ho votato a favore della sindacabilità tanto sotto il profilo della diffamazione, quanto sotto quello dell'aggravante per l'istigazione all'odio etnico-razziale, perché mi sembra (valuterà poi il giudice), che quelle parole violino, insieme, i "valori" che ciascuno di quei reati offende.
Ovvero il principio di non discriminazione (anche) su base etnico-razziale, da un lato e la dignità umana, dall'altro. Il tratto qualificante delle parole di Calderoli è, infatti, il loro indirizzarsi contro l'elemento costitutivo della persona. Ovvero la sua dignità e immagine pubblica. Ecco, la dignità è il limite - a mio avviso l'unico - che deve essere posto alla più piena e illimitata libertà di parola. Perché, attraverso quella comparazione tra una donna di origine africana e un orango si attua una vera e propria procedura di degradazione della persona e della sua identità, che esula inevitabilmente dalla critica politica (presupposto dell'insindacabilità), per degenerare in scherno, denigrazione personale, con un effetto oltretutto discriminatorio per ragioni di appartenenza etnica.
E qui interviene il discorso della insindacabilità. Nonostante l'abuso che se ne è fatto, i mutamenti avvenuti nel quadro politico-istituzionale e i correttivi che vi si potrebbero apportare, io considero l'insindacabilità una tutela importante per il parlamentare. Una prerogativa da non banalizzare con un uso strumentale, ma neppure da negare se funzionale a garantire l'esercizio del mandato parlamentare in condizioni di autonomia e libertà da ogni tipo di ingerenza.
E tuttavia - come Corte costituzionale e Cedu (Corte europea dei diritti umani) hanno più volte chiarito - il limite che il mandato parlamentare, pur nel suo più ampio e pieno esercizio, non può superare è quello della dignità umana. La cui violazione degrada - come in questo caso - quell'essenziale prerogativa democratica in un inaccettabile strumento di prevaricazione e umiliazione dell'altro. Soccorrono qui le parole di Karl Popper (che notoriamente non era né un marxista-leninista-stalinista né un giustizialista): "Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti".
(Post redatto in collaborazione con Federica Resta)