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Se la priorità è la lotta agli scafisti, perché accanirsi contro 20 nigeriane?
L'Huffington Post, 18-09-2015
Marco Perduca
A metà agosto avevo raccontato qui la vicenda di una settantina di ragazze nigeriane arrivate sulle coste siciliane alla fine di luglio dopo aver passato un periodo d'inferno in Libia. Alle domande "chi siete" e "cosa volete", poste loro appena atterrate, le ragazze avevano risposto candidamente "lavoro". Lavoro = migrante economico, migrante economico = identificazione ed espulsione.
Dopo un primissimo soccorso a Lampedusa e Pozzallo è seguito, nel pieno rispetto della legge (non sia mai), il trasferimento al CIE di Ponte Galeria.
Una volta arrivate a Roma, quattro hanno abortito i figli delle violenze subite in Libia e han trovato ospitalità in centri appositi; le altre, capito cosa sarebbe successo loro a breve, con l'aiuto di associazioni come Be Free e avvocati come quelli coordinati dall'Università Roma Tre, hanno iniziato a lottare per la propria libertà e i propri diritti. Tutte han fatto ricorso contro l'ordinanza di espulsione e hanno avviato le pratiche per richiedere protezione in Italia.
Dopo un paio di visite al centro di Ponte Galeria della campagna LasciateCIEntrare, pezzi sul Tg2, siti specializzati, l'interessamento di media internazionali, un paio di interrogazioni presentate alla Camera della socialista Pia Locatelli (con 90 colleghi) e dalla vice presidente del Senato Valeria Fedeli del Pd con una ventina di co-firmatari, quattro ragazze son state rilasciate - anzi sarebbe meglio dire lasciate al loro destino visto che non è neanche stato dato loro un passaggio verso un centro in Lombardia che si era generosamente messo a disposizione. Per le altre il destino era meno certo e sicuramente tutto in salita, ma c'era la speranza che la mobilitazione pubblica, nonché il fatto che si trattasse di donne che avevano "viaggiato gratis", quindi molto probabilmente vittime della tratta, avrebbe giocato in loro favore.
Sbagliato, molto sbagliato.
Senza alcun preavviso, il 17 settembre di buon ora, un pulmino della questura s'è presentato a Ponte Galeria per "tradurre" una ventina di ragazze all'aeroporto e imbarcarle su un volo charter verso la Nigeria. In quelle stesse ore, dall'altra parte della Capitale, alcuni avvocati stavano ottenendo la sospensiva dell'espulsione per almeno una dozzina di ragazze, non necessariamente in procinto d'esser deportate. Poco dopo l'arrivo del cellulare della polizia al CIE, una delegazione del sotto-comitato ONU sulla tortura chiedeva d'entrare nel centro per una visita ispettiva ufficiale caldeggiata da associazioni della Coalizione italiana sui diritti e le libertà civili, come Antigone e LasciateCIEntrare.
A poco sono valse otto ore di telefonate, fax, email e sms con e tra l'amministrazione del CIE, un paio di parlamentari, tre uffici della Questura di Roma e la stampa. La macchina dell'espulsione era stata messa in moto e solo cinque delle 20 persone tradotte dal CIE son state fatte scendere dal volo Meridiana destinazione Lagos (alle 24 di giovedì 17 settembre 2015 non si conoscono ancora i nomi delle cinque persone). I fax e i messaggi di posta elettronica certificata degli avvocati che notificavano le sospensive riguardavano però almeno nove ragazze.
Nelle prossime ore si conosceranno i nomi delle, o dei coinvolti (sul volo pare ci fossero anche altri migranti provenienti dal nord Italia) e sicuramente le associazioni e gli avvocati ricorreranno alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti Umani - non sarebbe la prima volta che l'Italia viene condannata per respingimenti irregolari dalla Corte di Strasburgo -, ma quel che qui occorre son spiegazioni politiche per chiarire come mai si sia deciso dedicare risorse umane e finanziarie per agire contro 20 nigeriane conoscendo le condizioni peculiari del loro arrivo e sapendo che tutte potevano veder sospesa dal giudice l'istanza di rimpatrio una seconda volta.
Io ero rimasto che la priorità de governo fosse la lotta agli scafisti, perché allora accanirsi contro 20 ragazze innocenti?