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Reato di tortura, si o no? Un poliziotto e un radicale si affrontano a duello

reato di tortura GarantistaIl Garantista, 30-06-2015
Errico Novi

Potenza dei media. E di alcuni leader che li usano in modo spregiudicato. È stato sufficiente Matteo Salvini che ha chiarito la faccenda con il suo solito aplomb («se un delinquente cade mentre è fermato e si sbuccia un ginocchio, cazzi suoi») e improvvisamente il Paese si è accorto del reato di tortura. O, più precisamente, del fatto che anche in Italia sta per essere introdotto. Poi certo, venerdì si è celebrata la “Giornata internazionale per le vittime di tortura” e il tema ha scalato la gerarchia delle notizie. Il punto però è che non sono ancora particolarmente chiari all’opinione pubblica i connotati del provvedimento all’esame del Senato. Non tutti sanno che anche questa “svolta” della nostra legislazione penale è dovuta soprattutto a sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo, in particolare alla pronuncia “Cestaro”, dal cognome di una vittima del pestaggio alla Diaz.

I giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia a risarcire il ricorrente e hanno rilevato l’assenza nel nostro ordinamento di una fattispecie penale in grado di sanzionare fatti come quelli del G8. Vuoto grave, che sta per essere colmato. Ma che incrocia anche la netta contrarietà di gran parte delle forze dell’ordine. È stato in particolare il Sap, Sindacato autonomo di polizia guidato da Gianni Tonelli, a schierarsi contro il testo in via di approvazione, secondo gli agenti ispirato ideologicamente dall’odio contro le divise. Proprio Tonelli è uno dei due protagonisti del forum svolto nella redazione del <+corsivo>Garantrista<+tondo>. Di fronte a lui, con l’arbitraggio “discreto” del direttore Piero Sansonetti, il rappresentante di una corrente di pensiero perfettamente contraria: Sergio D’Elia, segretario di <+corsivo>Nessuno tocchi Caino <+tondo>e dirigente di Radicali italiani. Qui di seguito l’intero report della discussione. Che è tra l’altro anche un’opportunità per il Sap di chiarire le proprie posizioni, al centro di polemiche dopo che nei giorni scorsi il sindacato degli agenti ha espresso il proprio no alla legge sulla tortura con una serie di manifestazioni.

SERGIO D’ELIA. Quello che papa Francesco è riuscito a fare in giro di poche settimane, introducendo il reato di tortura nello Stato di Città del Vaticano, non è riuscito all’Italia in tutti questi anni trascorsi da quando ha ratificato la Convenzione Onu. Parliamo di un quarto di secolo.

PIERO SANSONETTI. Ecco, il Sap però sostiene che definire un nuovo, specifico reato di tortura non serve.

GIANNI TONELLI: Papa Francesco ben venga: il nuovo ordinamento del Vaticano non ha determinato assolutamente il pasticcio che c’è stato in Italia. Peraltro uno dei problemi, nel nostro caso, e il rischio che un ddl come quello in arrivo dal Senato si presti a interpretazioni “estreme” da parte della magistratura. Vorrei dire questo: la nostra non è una posizione corporativa o di autotutela. Noi siamo quelli che hanno distribuito videocamere sotto forma di “spy-pen” agli agenti e abbiamo poi convinto il governo a fornire a tutti i reparti mobili e volanti questo tipo di apparecchiature in ambienti polizia. Siamo pronti a farci passare ai raggi X. Vogliamo assumerci tutte le responsabilità possibili. Ma non ipotesi paradossali contenute nel disegno di legge, come il configurarsi del reato di tortura in cui una persona dichiara che un poliziotto gli ha inflitto una sofferenza psicologica. Come si fa a provarla? O meglio, come sarà possibile dimostrare che non c’è stata una violenza psicologica? Come faranno gli agenti a dimostrare la propria innocenza?

PIERO SANSONETTI: Ma voi del Sap siete contrari in toto all’introduzione del reato o contestate in modo specifico il testo approvato alla Camera?

GIANNI TONELLI: La nostra contestazione è rivolta al merito del testo che Montecitorio ha ora affidato all’altro ramo del Parlamento. Noi siamo perché si preveda una sanzione rigida dei reati di tortura, qui invece c’è una sanzione ideologica contro le forze dell’ordine.

SERGIO D’ELIA. E invece a mio giudizio questo testo non soddisfa per una ragione completamente diversa: non è la fattispecie descritta, in modo perfetto, nelle Convezioni Onu ed europea contro la tortura. Lì non si configura un reato comune, ma tipico e specifico che attiene a un determinato comportamento. Sono d’accordo sul fatto che vanno perseguiti i comportamenti e non le categorie. Ma qui si profila, nel testo parlamentare, un tipico reato comune. Certo, ci sono aggravanti per chi in veste di pubblico ufficiale compie alcuni atti. Ma resta non tipizzato il comportamento caratteristico di un pubblico ufficiale, che sia agente penitenziario o militare, né quello di altre figure, come i medici spesso chiamati a intervenire in situazioni un po’ al limite. Nel ddl il reato di tortura può configurarsi anche in ambiente familiare, o in un contesto mafioso, bimbo in acido.

GIANNI TONELLI. Su questo la contrapposizione è netta. Il tratto ideologico anti-polizia c’è ed è in come viene concepita la sanzione del comportamento del pubblico ufficiale. La Convenzione Onu mira alla tutela della dignità umana e a preservare l’essere umano da sevizie. E allora cosa cosa c’è di più attinente a queste esigenze di tutela, rispetto al caso del mafioso che strappa le unghie? Perché questi comportamenti non sono previsti nel ddl? Se io arrivo sul posto dove è appena stata rapita una bimba, e dico a uno dei probabili sequestratori che la famiglia è riuscita a bloccare “se non mi dici dov’è la bambina ti do un cazzotto”, questo può configurare il reato di tortura, se poi il soggetto dichiara che gli ho procurato un’acuita sofferenza psicologica… I comportamenti assimilabili a tortura vanno sanzionati indipendentemente da chi li mette in atto.

SERGIO D’ELIA. Se ho ben capito dunque questa fattispecie di reato comune non vi va bene perché la polizia è esplicitamente inserita tra le categorie passibili di sanzione. Ma nel testo anche il cittadino comune può essere un criminale. E questo non va bene a me: non si può commisurare il reato di tortura a cittadini comuni anziché a chi ha altri in custodia. L’articolo 1 della Convenzione Onu parla di “qualsiasi atto mediante il quale sono inflitte dolore, sofferenze fisiche o mentali, per ottenere una confessione da una persona, o, al fine di punirla o di intimorirla, fare pressione su di lei o su una terza persona”. Bene: queste due ipotesi, intimorire e punire, sono alla base della sentenza Cestaro sul caso dell’ex Caserma Diaz. Invece il testo del Senato propone l’ipotesi generica “infliggere una punizione o vincere una resistenza”. Non va bene perché nel dettato Onu la “punizione” sanzionabile è quella di chi in pratica dice “punisco te perché ti ho presso, ma lo faccio per punire un terzo che non sono riuscito a prendere”. E appunto l’intervento violento su chi dormiva alla Diaz costituiva una rivalsa sui black bloc, che però non erano lì

GIANNI TONELLI. So bene che secondo molti servirebbe una legge per punire in furturo comportamenti come quelli della Diaz. Lì però è intervenuta la prescrizione. Non serve allora un tipo di reato nuovo, ma un termine differente di prescrizione per quelli contestati agli imputati del processo Diaz. E comunque, io insisto sulla parte in cui si definisce la “acuta sofferenza psicologica”: non ci sarebbe lo strumento per misurarla. Se uno dice di essere stato picchiato, lo si può sottoporre a uno specifico esame clinico. Con la “sofferenza psicologica” questo non è possibile. D’altra parte, per tornare all’enunciato della Convenzione Onu citato da Sergio D’Elia, dico che se servono ulteriori norme, facciamole. Ma dire che con il nostro ordinamento attuale non sarebbe possibile perseguire comportamenti riconducibili alla tortura è falso. Faccio l’elenco: sequestro di persona, lesioni, violenza privata, abuso in atti d’ufficio: ce n’è abbastanza per passare una vita in galera… Con il dispositivo all’esame del Senato si può obiettare a un agente che ha fatto uso legittimo delle armi che non si trattava di mezzi di coazione fisica e che quindi si ricade nel reato di tortura. Se al posto dell’agente c’è un civile, quest’ultimo se la cava con la lesione dolosa. Dov’è il principio di uguaglianza sancito in Costituzione?

SERGIO D’ELIA. In tutti gli ordinamenti nazionali che lo hanno configurato, il reato di tortura è tipico dell’autorità pubblica. Si può essere d’accordo o no ma il diritto interno degli Stati questo dice. È notizia di pochi giorni fa che gli Stati Uniti hanno previsto il reato di tortura anche per il waterboarding, l’annegamento che provoca asfissia, praticato da pubblici ufficiali… Ma io credo che il punto più critico del disegnio di legge ora all’esame di Palazzo Madama sia un altro: l’indicazione dei casi di violenza o minaccia, ma non si parla di “privazioni”. E qui si apre il capitolo di quello che lo Stato fa nei confronti dei detenuti sottoposti all’articolo 4 bis, cioè all’ergastolo ostativo. Tale norma individua dei condannati all’ergastolo che non possono aspirare ad alcun beneficio, a meno che non collaborino con la giustizia. Il 41 bis, il carcere duro, fa la stessa cosa: esci dal 41 bis se diventi collaboratore di giustizia. Nella Convenzione Onu si parla di sofferenze fisiche o anche mentali, inflitte a una persona in modo da punirla per atti compiuti da altri. È proprio il caso dei “41 bis” comminati non agli autori della Strage di Capaci e neppure agli appartenenti alla stessa banda, ma a malavitosi completamente estranei a quegli atti. Li si è puniti, appunto, per reati commessi da altri. Sono stato a Pianosa due anni. E lì ho visto i familiari dei mafiosi accusati per la strage di Capaci portati in ciabatte, col pigiama addosso, sottoposti a finte fucilazioni, a docce gelate, costretti ad andare di corsa attorno a cortile senza fermarsi mai. Cose che questa legge non punisce.

GIANNI TONELLI. Se accadono, cose del genere vanno sanzionate. Ma non si può consentire nemmeno che le si racconti anche quando non sono mai accadute. Credo sia singolare che noi, come operatori di polizia chiediamo le “spy-cam” per tutelarci. Vuol dire che qualcosa non funziona e che c’è una sensibilità che porta ad un’ostilità ideologica contro le forze di polizia. È vero, ci sono comportamenti che resterebbero fuori, dalla legge, come il waterboarding: la tortura dell’acqua è una delle peggiori. Ma in questa norma c’è un eccesso di indeterminatezza . E ripeto: il problema riguarda soprattutto il passaggio sulle “acute sofferenze psicologiche”. Tutti i giorni c’è chi prende l’ansiolitico perché è stato richiamato dal superiore. Se però noi diamo la possibilità a qualsiasi delinquente di dire che appena vede una divisa gli viene l’ansia…

SERGIO D’ELIA. Credo però che quella parte del testo sia applicabile a casi limite. Non è che uno può avvalersi di questa legge per accusare il magistrato e dire che gli ha fatto pressioni psicologiche, o ai carabinieri che gli dicono “se non parli stai qui chissà quanto. D’altronde è giusto proporre il reato di tortura anche rispetto ad azioni sulla psiche di una persona: c’è un nesso strettissimo tra quello che accade alla mente di un individuo e gli effetti sulla sua salute. A proposito della misurabilità di queste sofferenze, va detto che non è che se non sono psicologiche non sono reali. Quando Enzo Tortora viene messo in catene davanti alla stampa e viene portato in carcere, questo semplice fatto, lui disse, gli procurò un effetto di “una bomba scoppiata dentro”.

GIANNI TONELLI. L’ingiusta detenzione non è un fatto da poco, può oggettivamente determinare sofferenza psicologica.

SERGIO D’ELIA. Le condizioni di detenzione in alcuni casi sono strettamente configurabili come tortura, e qui non c’è un agente di polizia che la provoca… Sa qual è una cosa ricorrente con il 41 bisI Il suicidio degli agenti penitenziari. Non si suicidano solo quelli in isolamento ma anche gli operatori che vedono le condizioni di detenzione come di tortura verso loro stessi. Tra i detenuti al 41 bis c’è un’alta incidenza del cancro. E, cosa che fa impressione, del distacco della retina. Ti ho torturato tenendoti in una cella di pochi metri quadri o in un cortile comunque limitato, e così la visione a distanza si perde, perché non è più utilizzata. C’è o non c’è tortura? Di sicuro c’è un trattamento inumano e degradante, che comunque non è da Stato di diritto. Io ho simpatia per voi agenti perché so bene in che condizioni lavorate, a che pressioni siete sottoposti quando vi dovete confrontare con il pericolo. Io non condivido questa legge perché è umiliante innanzitutto nei confronti della polizia. Venite equiparati a un mafioso. Io avrei fatto una battaglia, al vostro posto, del tipo: per piacere, fate una legge sul reato di tortura commesso dai mafiosi che non accosti noi a loro, se deve esserci un reato di tortura contestabile agli agenti che sia isolato dal resto… Poi però va detto che in questa legge manca una cosa importante: la possibilità di identificazione degli agenti, soprattutto quando si è in funzioni di ordine pubblico.

GIANNI TONELLI. Parto dalla questione del 41 bis. In Italia è difficile liberarsi da pregiudizi e stereotipi. Se ipotizzi l’abolizione del 41 bis sei tacciato di voler fare la “trattativa”. Andrebbe tenuto presente che oggi non c’è una situazione di anni Novanta, ci deve essere un ripensamento sui metodi di separazione dall’ambiente esterno più rispettoso della dignità umana. Ma mi pare che la società non sia pronta a questo tipo di salto, e prima che normativo il problema è culturale. Sugli identificativi: invece dico: noi siamo per la verità e i raggi X. Nessun gesto fuori dalle regole deve essere lasciato correre. Ma con una “spy-cam” si certificano tutte le responsabilità possibili di un agente. Un attivista come Casarini invece non vuole prendersi le proprie responsabiltà, vuole i codici sui caschi degli agenti perché il giorno dopo può presentare denunce false.

PIERO SANSONETTI. Perché non accoppiare numeri e telecamerine? Se vengo picchiato da un poliziotto su 60, come faccio a individuare quello che mi ha pestato?

GIANNI TONELLI. Vorrei garantire i colleghi dal rischio delle false denunce. Ma una soluzione per il problema posto si può trovare.

Pubblicato: Martedì, 30 Giugno 2015 14:36

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