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Notizie

La normalità dell’accoglienza

accoglienzail manifesto, 16-06-2015
Filippo Miraglia

L’Europa a 28 sem­bra essersi infranta di fronte alle sue respon­sa­bi­lità inter­na­zio­nali con l’arrivo di poche migliaia di per­sone in cerca di pro­te­zione. I numeri spie­gano chia­ra­mente quanto sia stru­men­tale e inac­cet­ta­bile la rea­zione dei governi con l’attivazione di misure straor­di­na­rie utili solo a con­so­li­dare la reto­rica dell’invasione e ad ali­men­tare il raz­zi­smo.

Intorno al bacino del Medi­ter­ra­neo, è vero, c’è un’emergenza uma­ni­ta­ria. Solo guar­dando i dati della Siria si capi­sce come la comu­nità inter­na­zio­nale debba atti­vare stru­menti straor­di­nari per far fronte alle con­se­guenze di una guerra che dura da più di due anni e costringe milioni di per­sone a fuggire.

Il Libano dal 2014 sta acco­gliendo più per­sone da solo di quanto non abbia fatto tutta l’Ue. In tutta l’Unione Euro­pea infatti, nel 2014, sono state pre­sen­tate meno di 650 mila domande d’asilo, men­tre il Libano ha accolto più di un milione di pro­fu­ghi siriani. Per­sone, fami­glie, che usu­frui­scono dei ser­vizi pub­blici, tanto che in alcune scuole sono più nume­rosi i bam­bini dei campi pro­fu­ghi che i figli dei libanesi.

L’Europa si sta sot­traendo dun­que alle sue respon­sa­bi­lità e anzi­ché atti­vare misure ade­guate per l’accoglienza, ad esem­pio appli­cando la Diret­tiva 55/2001 che con­sente il rila­scio di un titolo di sog­giorno euro­peo tem­po­ra­neo in caso di flussi straor­di­nari, rea­gi­sce con una ingiu­sti­fi­cata rin­corsa ad azioni di chiusura.

Siamo addi­rit­tura alla chiu­sura delle fron­tiere interne, con la sospen­sione dell’accordo di Schen­gen, per evi­tare che chi arriva in Ita­lia possa lasciare il Paese e aggi­rare il rego­la­mento Dublino.
In Ita­lia intanto dob­biamo assi­stere ad epi­sodi ver­go­gnosi come quello di ieri alla sta­zione Tibur­tina di Roma.

Le rea­zioni allar­mi­ste dei governi si som­mano all’incapacità dell’Italia di far fronte alla gestione di alcune migliaia di arrivi, pro­gram­man­done per tempo la distri­bu­zione sul ter­ri­to­rio, e agli scan­dali di Mafia Capi­tale e din­torni, che stanno avve­le­nando il clima e rischiano di can­cel­lare anche le espe­rienze posi­tive, molto dif­fuse, anche se insuf­fi­cienti, nel nostro Paese. Ma non basta. La situa­zione reale del sistema d’accoglienza è pur­troppo anche peggiore.

A Roma, come a Milano, e in molte altre grandi città, migliaia di richie­denti asilo, arri­vati nella pri­ma­vera del 2014, più di un anno fa, non hanno ancora avuto l’appuntamento della Com­mis­sione Ter­ri­to­riale per il rico­no­sci­mento dello sta­tus di rifu­giato. Le domande d’asilo resi­due del 2014 sono più di 50 mila, e chi arriva oggi rischia di dover aspet­tare la fine del 2016 per il col­lo­quio con la commissione.

Una situa­zione che, oltre a deter­mi­nare ingiu­sti­zie e fru­stra­zione tra i pro­fu­ghi (non sapere nean­che quando si verrà ascol­tati e quindi quando potrà essere avviato un per­corso di inte­gra­zione deter­mina incer­tezza e umi­lia­zione), pro­duce uno spreco di risorse e una rea­zione nega­tiva dei ter­ri­tori che ospi­tano i pro­fu­ghi in attesa. Tutto diventa così più dif­fi­cile.
L’assenza di una pro­gram­ma­zione all’altezza dell’attuale emer­genza uma­ni­ta­ria, che riguarda un numero di per­sone ampia­mente pre­ve­di­bile, rende impos­si­bile orga­niz­zare in maniera effi­cace il sistema d’accoglienza ed apre spazi a com­por­ta­menti ille­gali e alla corruzione.

Non si tratta sol­tanto di evi­tare affi­da­menti diretti, di esclu­dere sog­getti privi di espe­rienza, o di pre­di­sporre un ade­guato sistema di con­trollo. Tutto que­sto è neces­sa­rio ma non basta. È indi­spen­sa­bile innan­zi­tutto uscire dalla gestione emer­gen­ziale, che induce a scelte più costose, pro­duce grandi cen­tri senza ser­vizi ade­guati e con un impatto sociale nega­tivo, gene­rando nei ter­ri­tori sen­ti­menti di rigetto e ren­dono sem­pre più dif­fi­cile pro­gram­mare un’accoglienza ordi­na­ria, con risorse suf­fi­cienti, stru­menti e per­so­nale competente.

Tutto que­sto non è frutto del caso, ma dell’incapacità del governo di fare il pro­prio mestiere. Un’incapacità che sta costando cara al nostro Paese sotto tanti punti di vista, ma che soprat­tutto pena­lizza gli uomini e le donne che da noi si aspet­tano pro­te­zione. Una situa­zione che richiede un cam­bio di rotta imme­diato, se non vogliamo essere tra­volti da un caos che fa comodo solo ai pre­di­ca­tori di odio.

Pubblicato: Martedì, 16 Giugno 2015 15:08

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