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Quella pena di morte mascherata chiamato ergastolo

art. garantista 6Cronache del Garantista, 02-06-2015
Domenico Letizia

Storicamente, molti degli stati che decidono di abolire la pena di morte dal proprio codice giuridico rafforzano il fine pena mai. La storica Organizzazione che dal 1993 si batte per la moratoria universale sulla pena di morte, Nessuno Tocchi Caino, ha deciso che il prossimo congresso, che dovrebbe tenersi nel Dicembre 2015, sarà dedicato alla questione dell’ergastolo.

Proprio in Italia vi sono state significative novità, non introdotte dall’azione del Parlamento o dalla classe politica ma dal Papa. Il 23 Ottobre 2014, Papa Francesco parlando ai delegati dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale ha definito l’ergastolo “una pena di morte mascherata” che dovrebbe essere abolita insieme alla pena capitale. Le significative parole del Papa evidenziano che la battaglia contro la pena di morte in quei paesi dove viene abolita deve concentrarsi sull’abolizione del fine pena mai, che altro non è che una diversa formulazione della pena di morte stessa.

Non è vero che l’ergastolo in Italia non esiste più. Il fine pena mai vige ancora per gli ergastolani ostativi che al 22 settembre 2014 si contavano in 1162 su 1576 condannati a vita. I condannati all’ergastolo ostativi sono esclusi per legge dalle misure alternative e, quindi, anche da quella liberazione condizionale teoricamente possibile agli ergastolani che hanno scontato almeno 26 anni di carcere. Chi è condannato all’ergastolo in relazione ai reati previsti dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario deve morire in carcere. Non solo, ma anche per chi, condannato all’ergastolo, non si trova in queste condizioni, le difficoltà a uscire dopo ventisei anni in liberazione condizionale sono aumentate considerevolmente.

Non a caso, si è passati dalla presenza, negli istituti di pena, di poco più di 400 condannati all’ergastolo a metà degli anni Novanta a oltre 1500 nell’attualità. Papa Francesco ha messo in discussione anche l’isolamento nelle “prigioni di massima sicurezza” ribadendo, come ha già ampiamente documentato la letteratura scientifica sulla materia, che il fine pena mai e l’isolamento prolungato provocano danni irrimediabili sullo stato psico-fisico del detenuto, sindrome simile a quella dei condannati a morte, nota come “fenomeno del braccio della morte”.

L’ergastolo non appartiene alla cultura della pena, ma a quella della vendetta. Come la pena di morte. Semplicemente, è una vendetta consumata in un tempo infinito, invece che in un solo momento. Parente del supplizio più che delle iniezioni letali. Il professore di diritto pubblico Davide Galliani ha ben descritto come nel nostro ordinamento, le vicende riguardanti l’ergastolo hanno visto il susseguirsi di momenti di apertura e di chiusura. Al pari di quanto successo con l’ordinamento penitenziario, se si rivolge lo sguardo all’ergastolo è facile costatare interventi legislativi prima riformisti e poi conservatori.

L’attualità giurisdizionale deve tenere conto del ruolo svolto dalla Corte di Strasburgo. Se si discute di ergastolo, si discute anche di dignità umana, fondamento cardine che sta alla base sia della Corte Europea dei diritti dell’uomo che dell’Unione Europea. Ciò che la giurisprudenza italiana ha prodotto per giustificare la presenza nell’ordinamento dell’ergastolo è degno di dettagliata analisi. Rieducare il condannato per la cassazione, in passato, non voleva dire solo recuperarlo socialmente, poiché poteva bastare anche la sua redenzione morale, ovvero, liberare il condannato dal peso del gravoso crimine commesso. Ma, ragionando seguendo tale ottica, anche la pena di morte potrebbe non andare incontro ad alcuna obiezione da un punto di vista costituzionale.

Occorre, e occorreva in passato, una visione realistica dell’ergastolo. Non vi è nessun dubbio che la grazia possa essere concessa anche all’ergastolano, ma l’analisi della realtà dimostra che sono quasi del tutto assenti i casi in cui ciò è avvenuto. Tale elaborazione fu sostenuta anche da Piero Calamandrei affermando che l’ergastolo, così come è previsto nel codice, è incompatibile con la Costituzione. Sostenere giuridicamente l’ergastolo significa sostenere che la rieducazione, così come vorrebbe la nostra Costituzione, non è l’unico fine della pena. Per affrontare la questione bisogna approcciarsi al problema realisticamente studiando quali sono i fenomeni sociali.

Non bisogna inventar nulla, basterebbe scrutare al meglio la giurisdizione, ad esempio, del Portogallo che ha abolito il carcere a vita fin dalla Costituzione del 1976, non registrando nessun significativo aumento della criminalità e dei delitti nel paese. Ciò che non si vuole comprendere, o meglio tentano di far comprendere solo i radicali di Marco Pannella e Rita Bernardini, è che l’Italia attualmente resta all’ultimo posto nella graduatoria delle nazioni le cui pene siano ispirate ad umanità e civiltà giuridica. Degna di non passar in sordina, come ha sottolineato Luigi Manconi, è la vicenda del condannato ergastolano belga che ha chiesto di poter accedere al protocollo per l’eutanasia, ricevendo inizialmente una risposta positiva da parte del ministero della giustizia.

L’uomo, Frank Van den Bleeken, avrebbe voluto esser curato in una clinica specializzata per la sua patologia, si auto-definisce uno “stupratore seriale” ma, nonostante le continue e ripetute sollecitazioni, non gli è stata concessa nessuna delle richieste avanzate. Lo stato, empiricamente, avrebbe preferito la sua morte, con l’ipocrisia di un atto giustificato come rispondente alla sua volontà. Così l’ergastolo, il fine pena mai, ridiventa, oggettivamente in senso materiale, pena di morte. Percorrere la storia del fine pena mai dal punto di vista dei diritti umani significa essere consapevoli che l’ergastolo è come la pena di morte e coloro contrari alla pena di morte non possono che schierarsi per l’abolizione dell’ergastolo.

Nessuno Tocchi Caino ogni anno pubblica un rapporto sullo stato attuale della pena di morte nel mondo. Sarebbe interessante e necessario se dal prossimo anno, accanto al rapporto annuale sulla pena di morte, si analizzerebbe anche il fenomeno dell’ergastolo, pubblicando un rapporto ad hoc sullo stato attuale dell’ergastolo nel mondo. Si potrebbero ricavare analisi riguardanti i fenomeni legislativi adoperati dai vari governi, in stato di avanzato processo di democrazia reale, sulla pena di morte e l’ergastolo e il loro utilizzo in particolare contesti politici. Dalle elaborazioni prodotte si riuscirebbe anche ad estrarre un dato certo e preciso sull’inutilità del fine pena mai come prevenzione, o come esempio, per scoraggiare dal compiere crimini particolarmente cruenti. Non si tratterebbe altro che diffondere, quel diritto umano alla conoscenza sul fenomeno, innescando finalmente un serio dibattito pubblico e documentato. Ma Nessuno Tocchi Caino vive di iscrizioni e per far ciò vi è bisogno di un loro incremento. Facciamo in modo che ciò si realizzi.

Pubblicato: Martedì, 02 Giugno 2015 12:36

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