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Su quei barconi galleggiano le bugie d’Europa

articolo sbarchi garantistaCronache del Garantista, 20-04-2015

La drammatica conta dei migranti morti in mare sembra non arrestarsi. Sono migliaia le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Una situazione che sta mettendo in crisi le già deboli politiche migratorie europee. L’idea di un’Europa inespugnabile sta barcollando sotto i colpi di una umanità disperata che in fuga dai propri paesi sta mostrando il volto peggiore degli effetti della globalizzazione. Iniquità, conflitti, ideologie sono i fattori che determinano il costante aumento dei flussi di profughi verso il continente europeo.

E guai a pensare che tutto questo si potrà evitare solo perseguendo i trafficanti. È una scorciatoia che non produce alcun effetto. I trafficanti, infatti, sono il prodotto di scarto di politiche di chiusura verso i migranti e i rifugiati che pur di trovare una soluzione alla loro precarietà esistenziale si mettono nelle mani di chi lucra sul loro destino.
Senza contare che, dopo Mare Nostrum, l’operazione Triton non sta aiutando certo a migliorare la situazione.

Il dibattito europeo sulle migrazioni che attraversano il Mediterraneo si presenta confuso, fazioso, ammantato da una terminologia allarmistica che non aiuta a comprendere l’essenza di questi avvenimenti. Emergenza sbarchi, morti in mare, emergenza accoglienza sono le immagini di chi pretende di descrivere questo fenomeno con l’occhio del cittadino del nord del mondo senza interrogarsi più di tanto sulla natura del fenomeno, le sue cause, le politiche – se vi sono – per affrontarla.

Suscita anche grande scalpore quanto riferito da alcuni migranti scampati al naufragio a proposito di persone gettate in mare dagli stessi compagni di viaggio solo perché cristiane. Un ulteriore elemento che complica il già critico quadro internazionale che vede le atrocità dell’Isis e una crescente propaganda di odio mascherata da motivi religiosi, che produce persecuzioni e uccisioni in molte zone, dal Medio Oriente all’Africa.

Ma esistono anche episodi opposti di comunione e collaborazione. Come la storia di Lamin, un ragazzo di diciannove anni, arrivato in Italia dal Gambia nel giugno scorso. Insieme ad altri 28 giovani migranti ospiti al Santo Curato d’Ars di Falsomiele, un quartiere di Palermo, ha deciso di dare una mano ad accogliere i migranti che sempre più spesso sbarcano in città. «Ho deciso di ricambiare l’aiuto che mi è stato dato al mio arrivo a Palermo dando una mano agli operatori Caritas durante gli sbarchi al porto e nella gestione dell’ospitalità ad altri migranti. Voglio insomma ricambiare ciò che voi italiani state facendo per me».

Non dobbiamo dunque lasciare spazio a strumentalizzazioni. Nel condannare con fermezza tutte le violenze, ricordiamo sempre il monito di Papa Francesco: «La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano».

L’Europa sembra incapace di reagire perché vittima di una idea anacronistica di territorio e di confine. Da un lato si presenta come paladina dei diritti umani, dall’altro promuove politiche di esternalizzazione volte a tenere lontano dai confini europei i migranti e tutto il loro carico di dolore e di speranza.
Non si tratta più solo di prevedere fondi comunitari a cui attingere per calmierare l’emergenza, bensì di andare incontro a un fenomeno in costante mutamento che chiede con urgenza e senza ulteriori rinvii una riflessione di sistema proprio sulla mancanza di programmazione di interventi sinergici e congiunti a livello europeo, per mettere in atto quei “canali umanitari” che consentono a coloro che comunque arriveranno in Europa di non rischiare costantemente la vita come sta accadendo in queste ore.

Pensare all’attuazione di canali umanitari significa, cioè, anzitutto fare delle scelte politiche precise, scaturite dalla presa di coscienza che gli investimenti sul fronte del controllo delle frontiere e del contrasto all’immigrazione irregolare non sono evidentemente né sufficienti né tantomeno adeguati a gestire la richiesta di protezione internazionale. Peraltro i trafficanti e i migranti stessi, hanno una capacità di ridefinirsi nel progetto e nelle rotte migratorie che stupisce e spesso lascia del tutto impreparati. Una delle preoccupazioni che stanno davanti ai governi in questo momento riguarda l’aspetto economico, di ordine pubblico o di sistemazione dell’emergenza. In questo modo si indeboliscono, però, le politiche di accoglienza e soprattutto si rischia di non puntare sui diritti umani fondamentali.

Sarebbe, invece, auspicabile una strategia a medio termine, che coinvolga anche i governi dei paesi di provenienza dei migranti in modo che diventino partner affidabili, capaci di porre i diritti umani al centro del loro operato. Mentre nel breve termine è difficile poter pensare ad altro se non a ragionare su come garantire a chi riesce ad arrivare sulle nostre coste in questi mesi una tutela e un’accoglienza dignitosa.

Come ci ricorda la risoluzione dell’Europarlamento dello scorso 23 ottobre 2013, la legislazione comunitaria prevede ad es. alcuni strumenti che consentono il rilascio di visti umanitari. L’ingresso legale nell’Ue è sempre preferibile all’ingresso irregolare. Quest’ultimo, infatti, presenta maggiori rischi, anche con riferimento al grave fenomeno della tratta di esseri umani e alla conseguente perdita di vite umane. C’è bisogno di strumenti che costituiscano una “una risposta vera e propria” di “un’Unione Europea basata sulla solidarietà e sul sostegno concreto”, come ha affermato la Commissaria europea per gli Affari interni Cecilia Malmström, all’indomani dell’istituzione della Task-force Mediterraneo.

Ad oggi sono oltre 15mila i profughi transitati in Italia nei servizi della Caritas che in questi giorni sta garantendo più di 5mila posti in accoglienza. Peraltro, parallelamente ad inizio 2015 sono ufficialmente partiti i progetti Sprar approvati con il bando triennale 2014-2017, ed una quota rilevante di migranti giunti e salvati via mare è stata ed è attualmente ospitata anche attraverso quel circuito ordinario di accoglienza, di cui fanno parte numerose Caritas diocesane attraverso i loro enti gestori.

Va infine rilevato che oltre all’accoglienza diretta, consistente nella messa a disposizione di vitto, alloggio, servizi alla persona, ecc.., altre Caritas diocesane hanno optato per un tipo diverso di impegno, scegliendo di mettere a disposizione appositi servizi di orientamento, di lingua, di inclusione per i migranti ospitati da strutture di accoglienza dotate di minore esperienza nella gestione delle problematiche dei richiedenti asilo.
È uno sforzo straordinario reso possibile dalla costante collaborazione con le istituzioni e dall’intenso lavoro e abnegazione di operatori e volontari che quotidianamente cercano di restituire dignità e futuro a queste persone, cercando nel contempo di non aggravare la situazione e i disagi che sperimentano anche le comunità di accoglienza.

Come ci ha ricordato Papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2014, «lavorare insieme per un mondo migliore richiede il reciproco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia, senza sollevare barriere insormontabili. Una buona sinergia può essere di incoraggiamento ai governanti per affrontare gli squilibri socio-economici e una globalizzazione senza regole, che sono tra le cause di migrazioni in cui le persone sono più vittime che protagonisti. Nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione».
*Direttore Caritas Italiana

Pubblicato: Lunedì, 20 Aprile 2015 12:33

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