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Bertold Brecht a Rebibbia, e l'"Arturo Ui" diventa "Arturo Ué!"

articolo repubblicala Repubblica, 26-03-2015
MARTA RIZZO

Il 26 marzo, nel carcere di Rebibbia, i detenuti recitano la rivisitazione, meridionalista, dell'opera di Bertold Brecht La resistibile ascesa di Arturto Ui. Dal 2003, il Centro Studi Enrico Maria Salerno si occupa di portare il teatro dentro Rebibbia e di far uscire mentalmente i carcerati dalla loro condizione reclusa

ROMA - Alle 14 del 26 marzo il carcere di Rebibbia apre le porte al pubblico, per uno spettacolo recitato da carcerati, più o meno colpevoli di reati più o meno gravi. La forza catartica della parola teatrale, non libera solo le coscienze chi assiste a questo genere di rappresentazioni, ma dà maggior senso alle frustrate esistenze dei detenuti, che sembrano viverre la loro condizione in maniera quasi affrancata, nel denso tempo-spazio dell'interpretazione; al di là di qualsiasi retorica sulla funzione caritatevole del teatro "sociale". Le parole del regista di Arturo Uè! per capire meglio il lavoro con attori non professionisti.

La resistibile ascesa di Arturo Ui diventa Arturo Uè!. Bertold Brecht, fuggiasco a Helsinki nel 1941 e in attesa di partire per l'America, scrive un testo (rappresentato solo nel 1958) in cui ogni personaggio corrisponde un reale delinquente di quel Nazismo che ha sconvolto per sempre il mondo. La cecità di fronte ai molti e inascoltati moniti di intellettuali e artisti che hanno previsto la più grande barbarie della storia risulta insopportabile all'autore che, per farsi ben comprendere dal mondo intero, ambienta le vicende dell'Arturo Ui a Chicago, sotto l'allegoria dell'ascesa al potere di un gangster.

I criminali dentro e quelli fuori. "Brecht dice che la storia è opera di bande di criminali che, di epoca in epoca, assumono nuove sembianze - dice il regista della trasposizione di Rebibbia, Fabio Cavalli - Ho domandato ai detenuti-attori cosa ne pensassero. Mi hanno risposto che sì, chi il crimine lo organizza sui palcoscenici mondiali spesso resta impunito o celebrato con statue, mentre chi vive il crimine nelle periferie fra Napoli e Palermo marcisce in galera. Nessuno, meglio dei gangster di Rebibbia, può interpretare lo spirito di Brecht... E pretendono anche loro la statua, magari non di bronzo, pure di cartapesta, persino di cartone disegnato. Ecco: Brecht a fumetti! E siccome le lingue dei miei attori hanno gli accenti tronchi e aspri del meridione, intitoliamo questo cartone animato in 3D Arturo Ué!".

Il senso etico del teatro in carcere. "Il Teatro non cerca appellativi: di prosa, d'avanguardia, classico, sociale, tutte definizioni vane. O c'è o non c'è - continua Cavalli - Come dice Aristotele, la catarsi nel teatro ha due funzioni: una estetica, legata al piacere della rappresentazione, e una psicologica, che riguarda una specie di temporanea terapia consolatoria di fronte all'incombere delle angosce del vivere. La funzione "terapeutica" sembrerebbe connaturata all'arte stessa. Il teatro, che sia più o meno sociale, si prende cura di noi, come interpreti o spettatori. Se è brutto non serve. Ma se funziona è potente.

L'arte abbassa la recidività. Se è vero che il tasso medio di recidiva dei carcerati è del 65%, e invece, fra coloro che frequentano l'arte il numero si abbassa sotto il 10%, mi pare che i "portatori" di teatro in questi luoghi (i responsabili del ruolo etico del teatro in carcere), si carichino di una bella responsabilità. In carcere il teatro interviene a più livelli: sul corpo e sulla mente dei reclusi; sull'immagine che di loro hanno agenti, direttori, magistrati e sull'immagine restituita ai familiari, agli amici che aspettano di fuori e vedono scomparire il loro congiunto dalle pagine di cronaca nera per riapparire su quelle dello spettacolo. E il pubblico che entra, finalmente sfata il pregiudizio che là dentro abitino miserabili. Sul terreno comune, seppure transitorio, della poesia, le differenze fra liberi e reclusi scompaiono".

Il senso doloroso della libertà. "Il carcere è un habitus mentale - prosegue il regista - Per chi commette crimini l'incontro con la cella è messo in conto fin dall'inizio. Se nasci nelle periferie e a cinque anni già vendi sigarette di contrabbando e a sette spacci il tuo primo pezzo di fumo, il carcere ce l'hai nel destino. Famiglia disgregata, abbandono scolastico, sopravvivenza obbligatoria dentro un mondo di sopraffazione e povertà materiale e culturale: così si finisce dentro una, infinite volte. E dentro ripeti la lezione imparata fuori. Certo, la bellezza, l'arte, il teatro possono causare un indicibile dolore, perché aprono gli occhi, allargano l'orizzonte. Ci avvertono di quante cose saremmo potuti essere e non siamo stati. Ma questo vale per tutti, non solo per chi sta pagando per i propri errori".

"Teatro libero di Rebibbia": più seguito dei teatri stabili. Il 26 marzo è la 53° Giornata mondiale del Teatro, indetta dall'Istituto Internazionale del Teatro della sede Unesco di Parigi, ma è anche la II Giornata nazionale del Teatro in carcere, da quando il "Teatro Libero di Rebibbia" (anche sull'onda del successo mondiale del film dei fratelli Taviani Cesare deve morire, girato a Rebibbia), viene considerato una tra le esperienze teatrali più interessanti e riuscite d'Europa: "La sala di 350 posti è sempre piena - conclude Cavalli - migliaia di spettatori l'anno, che i teatri di fuori se li sognano. Cosa c'è di meglio che fare teatro così? Si possono mettere in scena testi che fuori non sono più rappresentabili, nemmeno dai Teatri Stabili: Shakespeare, Middleton, Brecht, Giordano Bruno, Gogol, i Tragici, le Commedie classiche con tanto di Cori, come se ne vedono solo d'estate al Teatro greco di Siracusa".

L'organizzazione del "Teatro Libero di Rebibbia". Sotto la direzione artistica di Laura Andreini Salerno e Fabio Cavalli, il "Teatro Libero di Rebibbia" conta 3 compagnie teatrali, più di 100 detenuti-attori e una band musicale; il loro spazio, il Teatro del carcere, è diventato una delle principali sale teatrali di Roma per affluenza di pubblico, capace di realizzare collaborazioni anche con altri teatri della città, (in particolare con l'Argentina-Teatro di Roma). In collaborazione con il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, il Provveditorato Regionale del Lazio e la Direzione della Casa Circondariale Roma Rebibbia N. C., le esperienze di questo teatro, sono il frutto del pervicace lavoro del Centro Studi Enrico Maia Salerno, impegnato dal 2003 nella realizzazione di progetti culturali rivolti a detenuti. In quest'occasione, Arturo Uè! ha scene a fumetti di Alessandro De Nino, canzoni e musiche dal vivo di Franco Moretti, costumi di Paola Pischedda.

Pubblicato: Giovedì, 26 Marzo 2015 14:12

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