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“Ho visto i miei compagni annegare”. I racconti choc dei migranti bambini

articolo stampa profughiLa Stampa, 10-03-2015
Flavia Amabile

Sono sempre di più i minori che sbarcano a Lampedusa dopo mesi di viaggio. Ali e Ismail: “Tenuti prigionieri e picchiati, le donne venivano stuprate”
“Tenuti prigionieri e picchiati, le donne venivano stuprate”

«Chiamatemi Ali» dice a chi gli chiede il nome. Ha deciso di chiamarsi così un mese fa quando lui che pensava di aver già visto e vissuto tutto quello che si poteva vivere e vedere, si è dovuto ricredere. Ha solo sedici anni Ali ma sa benissimo che cosa siano la fame, la disperazione, la paura, il ghiaccio nelle ossa e il sole del deserto che brucia la pelle. Un mese fa ha imparato anche che cosa voglia dire veder annegare l’unico amico rimasto, ucciso dai trafficanti mentre tentavano di arrivare sulle coste italiane. Da quel momento si chiama Ali, come il giovane, suo coetaneo, spinto dai trafficanti in fondo al mare.

Cresciuto in un campo
«Sono somalo, ma ho vissuto con la mia famiglia nel campo profughi di Kakuma in Kenya», comincia il suo racconto Ali, che ora si trova nel campo di prima accoglienza di Lampedusa. Il suo è l’altro volto degli sbarchi, il più fragile, quello dei minori soli non accompagnati. Sono sempre più giovani, alcuni hanno solo 9 anni. E sono sempre di più, sono aumentati del 69%, avverte Save The Children che li assiste dopo lo sbarco e ha raccolto i loro racconti. Rappresentano uno su dieci dei 7882 migranti che hanno attraversato il Mediterraneo a gennaio e febbraio di quest’anno tra onde alte come palazzi che nessuno avrebbe affrontato nemmeno con un transatlantico, potendo scegliere.
Ma nessuno di loro può scegliere, vengono costretti a salire su carrette che sarebbe estremamente scorretto definire imbarcazioni. Sono 240 i bambini arrivati in queste condizioni nei primi due mesi dell’anno insieme ad almeno un familiare e 521 quelli un po’ più grandi, che hanno affrontato da soli l’odissea. Sono soprattutto maschi originari di Paesi come il Gambia (135), la Somalia (129), l’Eritrea (117), o altri Paesi dell’Africa sub-sahariana e occidentale, ma anche Siria e Palestina.

«Sono venuto dal Kenya - continua a raccontare Ali - e mi ci sono voluti due mesi per arrivare qui. Ho viaggiato dall’Uganda al Sudan e dal Sud Sudan poi in Libia. Ho deciso di lasciare il Kenya perché se non lo avessi fatto non avrei avuto un futuro. Non c’era scelta per me. Mia madre vuole che io torni a casa, ma non hanno una vita lì, la gente sta morendo. Non voglio tornare indietro». È arrivato in Libia e lui che fuggiva da un inferno ha capito presto che il paradiso era ancora molto lontano. «I trafficanti mi hanno imprigionato per un mese. Mi hanno picchiato, hanno sparato in aria con una pistola per spaventarci. Mi hanno detto che se non avessi dato loro il denaro mi avrebbero sparato. Mi hanno picchiato con un bastone».

Nella tempesta
Alla fine il denaro è arrivato, 4mila dollari mandati dalla nonna ed è partita anche la barca, un gommone. Ma non è riuscito a prendere il mare con quelle onde. «Siamo tornati indietro e saliti su un’imbarcazione di legno. Eravamo in 400 a bordo», ricorda Ali. Quasi tutti stavano male per la tempesta: «I trafficanti hanno spinto otto nigeriani in mare. E hanno spinto anche il mio amico. Sono annegati tutti». Ali è stato fra i pochi a salvarsi, è arrivato in Italia ma non vede l’ora di andare via. «Vorrei andare in Svizzera e studiare, mi piacerebbe lavorare per l’Onu a Ginevra».

Abusi sulle donne
Qualche giorno dopo a Lampedusa è sbarcato Ismail anche lui somalo, 16 anni. Nel suo lungo viaggio ha imparato a non farsi ingannare dai trafficanti di persone e a reagire mentre stupravano le donne davanti ai suoi occhi. «Una era incinta di sette mesi», racconta. «Abbiamo provato a difenderla ma ci hanno minacciato con le armi. Quando la donna è tornata da noi dopo la violenza voleva uccidersi ma siamo riusciti a calmarla». Arrivati in Libia, la polizia li ha accolti con un «Benvenuti all’inferno» e un ricatto: 300 dollari in cambio di una libertà che non ha mai visto. Ismail è stato ceduto ai trafficanti, portato a Tripoli e infine a una base vicino al mare. È partito da qui il 14 febbraio. Per fortuna il mare era calmo ma la barca così malmessa che si è fermata dopo 12 ore di navigazione. Un peschereccio tunisino li ha raccolti e portati alla Guardia Costiera Italiana.
Il suo sogno? «Rimanere in Italia, giocare a calcio e diventare un grande difensore come Zambrotta». Ai miei amici rimasti in Somalia però dico di non venire. «È troppo pericoloso, soprattutto per le donne. Uno su due non ce la fa».

Pubblicato: Martedì, 10 Marzo 2015 13:26

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