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Mara, donna rom partita dal campo, ora lavora da Eataly. "Volevo essere un esempio per i miei figli"

articolo romL'Huffington Post, 08-03-2015
Silvia Renda

Sono le 12 nel campo rom Candoni della periferia di Roma e Mara, 33 anni e cinque figli, sta cucinando per la sua famiglia. Lei è una ragazza rom, nata in una cultura fortemente patriarcale in cui la donna non ha un'esistenza per sé, ma vive in quanto moglie e madre. Per averla in sposa suo marito ha pagato la famiglia e la dote è stata valutata in base alla sua bellezza e alla sua bravura in cucina.

Che tu sia in grado di svolgere le mansioni domestiche è importante, dal momento che sarà quello il tuo compito principale nella vita. Mara, però, ha voluto ritagliarsi un ruolo diverso nella sua comunità. Insieme ad altre cinque donne ha deciso di partecipare a un progetto, realizzato da Arci Solidarietà, che le ha permesso di potenziare il livello di conoscenza dell’italiano, studiare nozioni igieniche e sanitarie in una Asl e infine tentare di trovare un lavoro.
“Abbiamo voluto cambiare le cose”, dice Mara ad Huffington Post, che sta adesso svolgendo un tirocinio retribuito da Eataly, “È stato molto bello imparare. Mi sentivo soddisfatta ed ero contenta. Noi abbiamo famiglie numerose, responsabilità come mamme. Però ce l'abbiamo messa tutta. Anche per essere un esempio per i nostri figli. Adesso ci vedono decise”.

Mara è diventata un modello anche per le altre donne nel campo e la sua esperienza è stata un traino per la diffusione di un desiderio di autonomia. In molte adesso vorrebbero poter fare esperienze simili, imparare e lavorare. Nel frattempo lei è il punto di riferimento: aiuta le donne con l’italiano e dà alle altre consigli in base a quanto appreso durante il tirocinio alla Asl, che, dice, “mi ha fatto capire come proteggermi”.
La sua esperienza e quella delle altre cinque donne che hanno fatto lo stesso percorso è raccontata nel libro “Sette donne rom” , il cui ricavato della vendita verrà in parte utilizzato per realizzare altri progetti simili di emancipazione e inserimento nella società italiana.“All’inizio eravamo di più a partecipare, ma molti hanno perso la voglia di combattere, perché devi lottare anche contro i pregiudizi. Fuori di qui ci chiamano ‘zingari’, ci insultano, ci guardano male. Tu resisteresti? A me questa esperienza ha reso più forte. Sono più forte degli insulti perché so che dobbiamo riuscire a tutti i costi a trovare un ponte tra noi e i gagé”.

La parola “gagé” viene usata dai rom per definire tutti coloro i quali non sono rom. L’esigenza di trovare un contatto nasce anche dalla voglia di uscire dal campo. Di poter vivere all’infuori di uno spazio ristretto che diventa per forza di cose il tuo quartiere, la tua città e il tuo mondo. Tutto ciò che sta fuori appare lontanissimo da qui dentro. Tutto ciò che sta qui dentro appare lontanissimo da fuori. Lontano il modo di pensare, diverse le tradizioni. “Per capire chi hai di fronte devi ascoltare e devi valutare. Il carattere è quello che conta. Essere buono o meno. Avere una cultura diversa, se ci si impegna a capire, può non essere un problema”.

Pubblicato: Lunedì, 09 Marzo 2015 13:17

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