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«Io e la cittadinanza presa dopo vent`anni (e tanto studio)»

cittadinanza 1Corriere della sera, 03-03-2015
Leonard Berberi

Il caso della donna che non parla l`italiano

Quasi vent`anni di residenza, costellati da un diploma, una laurea, un master e tre lavori. E una fila interminabile di giorni di attesa, dalla domanda di cittadinanza (inviata il i° dicembre 2008) all`appuntamento in Comune, quando - con poche, emozionanti parole pronunciate di fronte a un funzionario (svogliato) - io, albanese, pur legato al mio Paese, sono diventato quello che sognavo: un cittadino italiano. a pagina 24

Un diploma. Una laurea. Un master. Un lavoro. Un percorso di crescita umana (e culturale) in questo Paese. Una domanda di cittadinanza. Altri documenti da inviare a Roma per la pratica. Un sito consultato quasi ogni giorno per seguire l`iter. Un`attesa di fatto lunga vent`anni. Millenovecentotrentanove giorni (oltre cinque anni) di vera e propria burocrazia anche se la legge di anni ne prevede due.
Poi la luce in fondo al tunnel: un appuntamento in Comune, poche, emozionanti, parole pronunciate di fronte a un funzionario (svogliato), quindi la festa per una giornata - 24 marzo 2014 - sognata da anni, pure dagli amici. Sono un cittadino italiano. Finalmente.
Un calvario. Ma sono stati anni che mi hanno consentito di imparare la lingua della nuova casa, di conoscerne usi e costumi. Di integrarmi. Perché è l`essenza della cittadinanza.

Le sfumature, ovvio, non si possono ignorare. Perché è più facile e veloce «italianizzarsi» per i piccoli (avevo 9 anni quando sono venuto qui, in peschereccio, dall`Albania) che per i grandi. Perché i bimbi hanno la possibilità di studiare, andare in gita e socializzare, mentre mamma e papà devono badare alla famiglia.
Fa discutere la vicenda di Rani Pushpa, un`indiana di 56 anni, alla quale il sindaco del suo paesino, nel Varesotto, ha negato il giuramento. Motivo? «Non sa l`italiano», secondo il primo cittadino. La donna ha minacciato di andare in tribunale, il prefetto di Varese ha deciso che Rani Pushpa deve giurare e quindi diventare italiana. Perché - ha spiegato - il marito è cittadino di questo Paese e per lei la naturalizzazione è «un diritto soggettivo per il quale non è previsto che si debba verificare l`integrazione di una persona». E quindi «la conoscenza dell`italiano non è indispensabile».

L`interpretazione del prefetto è impeccabile. Lo stabilisce la legge. Legge che però risale al 1992 (quando i migranti in Italia erano 500 mila), oggetto di diverse proposte di modifica (sempre arenate in Parlamento) e di un requisito - la conoscenza della lingua e della cultura italiana - che non è vincolante. Con un paradosso: chi vuole la Carta di soggiorno (valida cinque anni) deve - tra le altre cose - superare un test di lingua. Chi chiede la naturalizzazione no.

Nel Regno Unito chi aspira a diventare cittadino di Sua Maestà deve sapere bene la lingua e conoscere gli usi e i costumi locali. In Francia bisogna dimostrare di conoscere in modo sufficiente il francese e anche la Costituzione. In Germania è previsto l`esame di lingua. In Olanda si deve superare un test anche sulla società con domande di politica, economia, trasporti. In Italia chi verifica il tasso di integrazione? Di fatto nessuno. Non le Prefetture. Non le amministrazioni comunali o regionali. Del resto le norme non lo richiedono. Così l`acquisizione della cittadinanza diventa un semplice (e lungo) passaggio burocratico. Una sequenza di requisiti. La residenza legale (almeno io anni), un lavoro (almeno negli ultimi tre anni al momento della domanda di naturalizzazione), un reddito sufficiente per non gravare sulle casse dello Stato, nessun guaio con la giustizia.

Tutti elementi importanti. Ma perché non lo è - per legge - anche la lingua? E perché non lo sono la conoscenza della geografia e della storia di questo Paese, dei passaggi culturali, e persino degli «errori», che ci hanno portato fin qui?
Oggi cinque milioni di persone vivono in Italia con un permesso di soggiorno. Molti si trovano qui da così tanto tempo da aver chiesto la naturalizzazione. Altri faranno domanda a breve. Tutti contribuiranno a cambiare il volto di questo Paese. Tutti, a meno di modifiche, giureranno di essere fedeli alla Repubblica e «di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato» con una formula pensata ventitré anni fa. Qualcuno lo farà senza nemmeno capirle, quelle parole.

Pubblicato: Martedì, 03 Marzo 2015 14:39

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