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Utero in affitto, una sentenza della Cedu

utero in affitto 227 gennaio 2015

La Corte Europea dei diritti umani ha condannato l'Italia a risarcire con 30 000 € una coppia a cui era stato sottratto il figlio, nato all'estero da una madre surrogata. " L'allontanamento di un minore dal contesto familiare - sottolinea infatti la Corte di Strasburgo - è una misura estrema che non si giustifica in nessun modo se non con un rischio immediato per il minore".

un commento di Federica Resta

E’ trascorso quasi un anno dalla dichiarazione d’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa e, dopo l’annuncio di provvedimenti i più vari (dal disegno di legge governativo alle mere linee guida), non tutti davvero necessari, il tema del rapporto tra diritti e bio-tecnologie sembra scomparso dall’agenda del Governo.  Intanto, però, la legge 40 (o meglio, quel che ne residua dopo le numerose dichiarazioni d’incostituzionalità), unitamente a un’interpretazione regressiva del concetto di “ordine pubblico” come limite al riconoscimento di istituti giuridici stranieri, continua a determinare condanne, per il nostro Paese, da parte della Corte europea dei diritti umani.


Stavolta, i giudici di Strasburgo si sono occupati del divieto di ricorrere al c.d. “utero in affitto”, previsto dalla legge 40 in via assoluta (dunque anche per le coppie sterili) e dello stato di adottabilità che conseguirebbe per i bambini nati all’estero da madre surrogata, ove se ne neghi il riconoscimento in Italia.


Il caso riguarda una coppia sterile, recatasi in Ucraina per avere un figlio facendo ricorso alla maternità surrogata “eterologa”, realizzata cioè con gameti esterni alla coppia e grazie alla disponibilità di un’altra donna a portare avanti la gravidanza. Sebbene il bambino non potesse ritenersi loro figlio anche secondo la legge ucraina (che ai fini della filiazione esige l’appartenenza di almeno metà del corredo genetico), i due italiani ne ottennero il riconoscimento con un atto poi trascritto in Italia. Denunciati successivamente per falso anagrafico- perché rei di aver riconosciuto un bambino privo di alcuna affinità genetica con loro e comunque non partorito dalla madre- i genitori sono stati privati del bambino, dichiarato in stato di adottabilità e quindi affidato a un altro nucleo familiare.


La sentenza di Cassazione che ha confermato (contro le richieste della Procura generale) l’allontanamento del bambino dalla coppia ha ribadito il divieto assoluto di riconoscere in Italia la filiazione ottenuta con gestazione “per altri” all’estero. Secondo i giudici si tratterebbe soltanto, infatti, di una genitorialità “apparente”, mai validamente sorta per il diritto e dunque inesistente, indifferente per la legge e, come tale, priva di tutela alcuna. E questo perché l’atto di nascita formato all’estero, anche validamente, non potrebbe mai trascriversi in Italia perché contrario all’ordine pubblico.


Come nel caso delle nozze, contratte all’estero tra persone dello stesso sesso- di cui sinora, salvo rare eccezioni, si è negata la trascrizione in Italia per motivi di contrarietà all’ordine pubblico - questo concetto torna al centro del rapporto tra regole e speranze. Tra chi, cioè, si affida al “turismo dei diritti” per usufruire di possibilità (offerte dalla tecnica o semplicemente dalla legislazione estera) negategli in patria e un ordinamento chiuso su se stesso e incapace di soddisfare le legittime aspettative dei suoi cittadini. Se, infatti, secondo la legge, l’atto formato all’estero non può essere trascritto in Italia se contrasti con l’ordine pubblico, un’interpretazione regressiva (o, peggio, la strumentalizzazione) di questa clausola aperta rischia di frustrare ogni tentativo di esercitare,appena oltre il confine nazionale, i propri diritti negati. E di legittimare una sorta di neo-nazionalizzazione dei diritti fondamentali, ancor più inaccettabile in un’epoca, quale la nostra, che ha visto cadere le frontiere nazionali su ogni altro terreno, globalizzando, anziché i diritti,  la loro indifferenza.


Nel caso dell’ “utero in affitto”, poi, la ragione di contrarietà all’ordine pubblico è individuata nella strumentalizzazione del corpo femminile e, quindi, nella violazione della dignità della donna che la surrogazione comporterebbe. Questa contrapposizione tra “dignità” (quella della gestante e quella dei richiedenti) sarebbe però chiaramente infondata laddove la legge prevedesse – come nella maggior parte dei Paesi – l’esclusiva gratuità della surrogazione, tale quindi da escludere ogni forma di sfruttamento della donna e del suo corpo.


E soprattutto, non si può contrapporre l’ “ordine pubblico” (espressivo dei principi fondamentali dell’ordinamento) al diritto del bambino a vivere con coloro che lo hanno voluto, cercato, accolto, anche se non materialmente generato.

Fonte immagine: www.laleggepertutti.it

Pubblicato: Martedì, 27 Gennaio 2015 18:16

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