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Da che parte dell'umanità vogliamo stare?

EroStranieroL'Huffington Post, 08-06-2017

P. Camillo Ripamonti
Presidente Centro Astalli

I molti perché di “Ero straniero. L’umanità che fa bene”

Siamo ormai a un mese dal lancio della campagna Ero straniero. L'umanità che fa bene e più si va avanti più ci si convince della necessità e della bontà di questa operazione.

Il titolo è insieme un augurio e la consapevolezza di quanto stiamo vivendo in Italia e nel mondo dove la mobilità umana costituisce ormai un punto determinante dell'agenda politica dei vari Paesi, come abbiamo visto nel recente G7. Può essere affrontata con intelligenza, capacità di programmazione e lungimiranza o al contrario con paura, improvvisazione e misure di corto respiro di contenimento.

A condizionare tali agende c'è spesso anche il sentire della società civile, che viene addotto in diverse occasioni come motivo (e non di rado si rivela un alibi) di scelte politiche non coraggiose quando non esplicitamente populiste o frutto di evidente strumentalizzazione. Sentiamo l'esigenza di nuove politiche migratorie che aiutino la società a prevedere spazi di legalità per tutti.

Riteniamo che la legge Bossi – Fini vada superata con misure più rispondenti alle esigenze di un Paese che negli ultimi 15 anni è profondamente cambiato e che senza gli immigrati non garantirebbe buona parte dei diritti sociali e civili che oggi riesce a garantire ai cittadini, come le pensioni per gli anziani, la conciliazione tra famiglia e lavoro, la cura della terra e degli allevamenti, patrimonio inestimabile della nostra storia che senza il lavoro di migliaia di cittadini stranieri oggi sarebbe irrimediabilmente perso.

Ma una campagna per una legge di iniziativa popolare in Italia sul tema dell'immigrazione non può che essere anche culturale, perché la vita civile da cui scaturisce l'attività legislativa appartiene al tessuto comune degli incontri e delle esperienze umane che creano sensibilità, mentalità e stile di vita.

Il titolo traccia un cammino. Ero straniero, citazione che può rimandare alla tradizione ebraico-cristiana, espressione al passato che è insieme memoria ("straniero come tu lo sei stato"), ma che dice anche una temporalità circoscritta: io ero straniero ma non lo sono più, ora sono cittadino integrato in un Paese che è nostro, non è più né solo tuo né solo mio. Una espressione che contiene un impegno, una sfida per costruire una società in cui nessuno si senta escluso, respinto, clandestino.

L'umanità che fa bene: l'umanità, cioè quel sentimento di solidarietà, di empatia, di compassione verso donne, uomini e bambini che hanno meno, che arrivano da lontano, vittime di quella ingiustizia che noi abbiamo contribuito a costruire, la capacità di apertura di un Paese che ci appartiene, che è scritta nella nostra storia, ma che forse rischiamo di perdere.

Da sempre siamo un popolo a vocazione umanitaria, la nostra terra si allunga in un mare approdo e salvezza per moltissimi che fuggono da guerre, povertà e disastri ambientali. Questa umanità fa bene a noi prima che agli altri, perché ci permettere di non perderci. C'è un'umanità che fa bene, ma c'è anche un'umanità, una parte del genere umano, che non progetta il bene: commercia armi, avvelena la terra, vende, compra e sfrutta uomini, donne e bambini.

È urgente trovare nuove forme per innescare in maniera non reversibile un movimento di prossimità verso chi ci chiede di essere accolto e integrato nel nostro Paese. Da che parte dell'umanità vogliamo stare? La campagna, in ultima analisi, ci chiede questo, smascherando ogni ipocrisia.

Ero straniero. L'umanità che fa bene è un impegno che molte organizzazioni estremamente diverse tra loro si assumono, mettendoci la faccia. Le buone prassi che ci sono vanno fatte conoscere, affinché si diffondano e diventino strutturali. Non dobbiamo continuare a giustificare quanto facciamo con spirito di servizio e per il bene comune, a fronte di pochi che in malafede hanno introdotto e continueranno il malaffare legato all'immigrazione. L'umanità fa bene contro chi diffonde il tarlo della sfiducia nell'esistenza di una società civile operosa e onesta.

Il nostro Paese può trarre maggiore giovamento dall'inclusione che dall'esclusione dei migranti, da politiche serie di integrazione più che da logiche razziste escludenti, volte a generare paura e allarme nella società. La paura indotta da un racconto mediatico e politico populista e demagogico ci deve provocare un moto di indignazione. Abbiamo diritto a un paese migliore, in cui i più bisognosi trovino risposte e solidarietà.
Mai come sul tema dell'immigrazione in Italia interessi nazionali e valori culturali e della nostra Costituzione coincidono, occorre solo il coraggio di osare.

Pubblicato: Giovedì, 08 Giugno 2017 17:45

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