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Lavoratori immigrati, l'indecenza continua in Calabria, tra "caporali" e baraccopoli fatiscenti
la Repubblica, 13-04-2017
ANNA MARIA DE LUCA
Il nuovo rapporto “Terraingiusta” realizzato da Medici per i diritti umani (MEDU) per indagare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro
REGGIO CALABRIA - A San Ferdinando oltre 2.500 lavoratori migranti vivono in condizioni spaventose in quello che è diventato uno dei più grandi ghetti d'Italia. Lo denuncia il nuovo rapporto “Terraingiusta” realizzato da Medici per i diritti umani (MEDU) per indagare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro.
Come vivono. Cinquecento di loro vivono in un capannone industriale abbandonato, altri duemila sono in una tendopoli. Le condizioni sono agghiaccianti, e lo sono da anni e anni: non ci sono servizi igienici, non c'è acqua potabile, né energia elettrica (se non piccoli e occasionali generatori a benzina) e l'area è circondata da cumuli di spazzatura, dato che non è garantita la raccolta. Per preparare i pasti e per il riscaldamento si usano bombole del gas, con evidenti rischi per la sicurezza: a dicembre e gennaio due incendi hanno distrutto una decina di baracche e ci sono stati anche dei feriti. E poi latrine a cielo aperto, al posto dei bagni, baracche in legno, lamiera e plastica sono usate come dormitori.
Il peso insopportabile del caporalato. Secondo le testimonianze raccolte da Medu – che ha realizzato una mappa sonora, accompagnata dalle foto di Nadia Lucisano e dalle musiche di Nosenso - il trasporto e l’organizzazione del lavoro sono gestiti dai "caporali", che vengono ricompensati dai datori di lavoro con l’assunzione e il versamento delle giornate contributive ai fini della disoccupazione, il rimborso dei costi del carburante e, talvolta, con un “premio produzione” a fine stagione. Nella Piana non è attiva una rete di trasporto pubblico di cui possano beneficiare tutti gli abitanti. Il 78% dei lavoratori ha raccontato di dover versare ad un intermediario in media tre euro per recarsi sul luogo di lavoro, mentre il contratto collettivo nazionale prevede che per i lavoratori “migranti” - accezione che include anche i lavoratori che vivono a più di 40 Km dal luogo di lavoro - il pagamento delle spese di trasporto dal luogo di provenienza a quello di lavoro e relativo ritorno sia a carico dell’azienda.
Due fenomeni. Da un lato, si sta verificando il ritorno nelle campagne di lavoratori stranieri che da anni vivevano e lavoravano nel nord Italia e che sono rimasti disoccupati dopo la chiusura delle attività produttive; dall’altro, stanno aumentando i nuovi arrivi (+6% rispetto ai dati Medu della stagione 2015 – 16) dei richiedenti asilo. Tutti vivono condizioni lavorative segnate da forme di grave sfruttamento e dalla piaga del caporalato in situazioni precarie e con il rischio di non vedersi rinnovato il documento di soggiorno in assenza di contratto di lavoro.
La salute non tutelata. Secondo il rapporto “Terraingiusta”, il personale socio-sanitario è insufficiente e gli ambulatori del servizio pubblico sono gravemente fatiscenti. In particolare, i giovani subsahariani giunti da poco nel nostro Paese Numerosi trovano infiniti ostacoli burocratici, cosi come le donne spesso vittime dello sfruttamento della prostituzione. I Medici per i diritti umani hanno visitato 518 uomini e 35 donne: una popolazione giovane, con un’età media 30 anni, arrivata in Italia, in circa la metà dei casi, da meno di tre anni e proveniente principalmente da Mali, Senegal, Ghana, Gambia, Marocco, Costa D'Avorio, Burkina Faso e Nigeria. La maggior parte di loro dorme su materassi a terra o direttamente sul pavimento. Il (79,4%) ha un regolare permesso di soggiorno, principalmente per richiesta asilo (39,2%), motivi umanitari (37,8%), protezione sussidiaria (8,7%), lavoro subordinato e autonomo (5,9%). I pazienti che sono in Italia da più di 10 anni (il 7%) sono titolari prevalentemente di permessi di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo e di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo (34,5% in entrambi i casi) e in nessun caso della cittadinanza italiana.
Gli impegni traditi e le proposte di MEDU. “Nonostante gli impegni presi un anno fa – denuncia il rapporto - poco o nulla è stato fatto dalle istituzioni per migliorare le drammatiche condizioni abitative ed igienico-sanitarie in cui vivono i braccianti impiegati nella raccolta degli agrumi. Unico dato positivo, un modesto aumento dei contratti di lavoro”. Il rapporto avanza proposte concrete: restituire centralità e dotare di risorse adeguate i centri per l’impiego affinché tornino ad essere i luoghi di riferimento per l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Attivare un sistema di trasporto pubblico di cui possano beneficiare tutti gli abitanti della Piana. Avviare un monitoraggio delle aziende e degli ettari messi a coltivo e introdurre indici di congruità che permettano un controllo, seppur macroscopico, dei dati delle assunzioni. Potenziare i controlli da parte dell’ispettorato del lavoro anche attraverso l’assunzione di mediatori culturali per permettere l’emersione delle reali modalità di impiego e di retribuzione. Sviluppare azioni di informazione capillare in merito ai diritti e alla normativa sul lavoro che coinvolgano soprattutto i lavoratori che vivono in condizione di estrema precarietà e isolamento.