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L’ultimo viaggio di Gianni: “L’Italia pensi a me e a Fabo”

Gianni TrezLa Stampa, 01-03-2017
di Niccolò Zancan

Morto in Svizzera con il suicidio assistito nella stessa clinica dell’ex dj

E questa, invece, è la storia del signor Gianni Trez, 65 anni, un pensionato della Telecom partito da Venezia per venire a morire qui accompagnato dalla moglie Emanuela e dalla figlia Marta. «Il tumore si era preso completamente la sua bocca. Non poteva più parlare, non riusciva più a dormire, aveva dolori atroci». A mezzogiorno è tutto finito.

La madre e la figlia sono all’Hotel Quer. Per vicinanza alla casetta azzurra dei suicidi assistiti, è anche l’albergo di chi sta per mettere fine alle sue sofferenze. Davanti c’è un grande parcheggio, è una zona industriale squallida. Ma forse questo è ciò che notiamo noi che abbiamo occhi liberi. «È difficile da credere, ma quando siamo entrati in quella stanza Gianni era proprio tranquillo e mi sono rasserenata anche io. Gli abbiamo tenuto la mano, lui ha sorriso fino all’ultimo. Avrebbe voluto morire in Italia, certo. Ma il nostro è un Paese incivile. E se vi racconto questa storia così intima, è solo perché era la battaglia che mio marito avrebbe voluto fare. Anche lui come Dj Fabo. Mi ha detto: “Se servisse una mia foto, vorrei che usaste quella della vacanza in Grecia, dove sorrido con il mare dietro. Devono vederci, devono accorgersi di noi. Devono fare una legge”».

Il parcheggio è pieno. Il ristorante dell’Hotel Quer sforna dolci al cioccolato, pane caldo e piatti di patate e bacon. Le cameriere fanno avanti e indietro fra i tavoli. I clienti sono operai, manager, camionisti, pendolari. E c’è questo gruppo di italiani proprio qui, dove la morte sembra poter convivere con l’esistenza normale, almeno per qualche ora, senza rimozioni.

«Era successo qualche anno fa, quando Gianni stava ancora bene. Una sera tardi, seduti vicini sul divano di casa, avevamo visto un programma su Rai3 che raccontava la storia di un malato di Sla. Dai suoi tentativi di resistere, fino al viaggio in Svizzera per bere quel bicchiere che ti permette di andare via. Era stato molto commovente. C’eravamo detti che anche noi, in caso di un male incurabile, uno di quelli che ti tolgono la dignità, avremmo voluto morire così».

E poi quel male per il signor Trez è arrivato, anche se lui era molto attento alla salute, vegano e sportivo. «Un giorno l’hanno dimesso dall’ospedale dicendogli che non potevano fare più niente. Avrebbe potuto vivere ancora un anno e forse di più. Nessuno può saperlo con certezza. Ma questa non la considerava più vita».

Accanto alla madre c’è la figlia Marta, 28 anni. Anche lei stringeva la mano a suo padre in quella stanza. «Papà non ha mai avuto dubbi», dice. «Anche questa mattina. Non era il tipo da grandi dichiarazioni. Ma aveva spiegato quello che voleva che sapessimo. Ha scherzato fino all’ultimo. Poi non è riuscito a dormire, perché quando si stendeva provava un dolore lancinante». Cosa rispondete a chi vi criticherà? «Noi rispettiamo tutti», dice ancora la signora Trez. «Se un cattolico ritiene di dover soffrire fino all’ultimo per conquistare il paradiso ha il nostro rispetto. Ma noi non siamo credenti, e speriamo che sia ancora concesso in un Paese libero come dovrebbe essere l’Italia. Gianni, alla fine, ha detto: “Non metto limiti alla provvidenza. Vado a vedere cosa succede dopo la morte”».

Non è stato un addio solenne. Qui si arriva sfiniti. «Gianni temeva di perdere l’autosufficienza che gli consentiva di bere quel bicchiere. Per certi versi, siamo stati fortunati. Abbiamo avuto il tempo necessario. Mio marito amava la vita. Vedeva sempre il lato positivo. In questi mesi ci siamo detti cose che prima davamo per scontate. Abbiamo parlato fino a quando è stato possibile, poi Gianni ha incominciato a scrivere. E quando era stanco anche di scrivere, si è fatto capire con gli occhi. Tutto è stato detto, fra di noi».

Raccontano che un’altra donna del Veneto abbia dormito in questo stesso albergo, qualche settimana fa. «Ingiusto è dover fare questo viaggio», dice la signora Trez. «Mi aspetto una legge dal Parlamento. Non devono dimenticare la storia di Dj Fabo, di mio marito. Di quelli che stanno soffrendo. È una cosa che purtroppo può succedere a tutti».

I camerieri portano due tazze di caffè. C’è il viaggio di ritorno da preparare. «Voglio ancora dire grazie a quanti ci hanno permesso di attraversare questo momento con dignità e dolcezza». Sulla sua bacheca di Facebook, il signor Trez ha lasciato una frase del poeta persiano Omar Khayyam: «Venni in questo universo il perché non sapendo né il donde, come acqua che scorre volente o nolente. E da esso uscirò come vento nel deserto, che soffia volente o nolente, non so verso dove».

Pubblicato: Mercoledì, 01 Marzo 2017 14:31

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