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Permesso di soggiorno, la tassa va restituita

permesso di soggiornoil sole 24 ore, 22-02-2017
Vera Viola

È il 2008 quando la famiglia Compaore, emigrata dal Burkina Faso, sbarca a Melito, in provincia di Napoli. Genitori e figli arrivano in aereo e con in tasca, come pochi, il permesso di soggiorno. Tre anni dopo, nel 2011, in Italia viene emanato un decreto ministeriale che impone agli immigrati di pagare una tassa per ottenere rilascio o rinnovo del permesso. La famiglia Compaore paga (per padre, madre e primo figlio maggiorenne) in totale 637,50 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno. Oggi ne attende la restituzione.

Sì, perché il 16 febbraio scorso il Tribunale di Napoli ha emesso un’ordinanza con la quale accoglie il ricorso presentato dalla famiglia burkinabè e condanna presidente del Consiglio, ministero dell’Interno e dell’Economia a restituire in totale 500 euro (trattenendo una piccola parte della somma per spese amministrative) alla famiglia trapiantata a Melito. Si attende ora che la somma venga materialmente erogata.

Ma questa è solo una delle 50mila richieste di rimborso inviate al governo italiano. Se non ci sarà risposta, verranno presentati altrettanti ricorsi giudiziari dinanzi ai Tribunali italiani. Che alla ordinanza napoletana potrebbero guardare come a un precedente e che potrebbero, nei prossimi mesi, concludersi con una raffica di decisioni di analogo tenore. Si stima che le tasse di soggiorno da rimborsare ammontino in totale a 500 milioni in Italia.

Ma qui entriamo nel campo delle ipotesi. Di concreto oggi c’è la prima sentenza di un Tribunale italiano, quello di Napoli, che tenta di scrivere la parola “Fine” a una lunga storia.

La regia della battaglia a sostegno dei diritti dei migranti è di Inca (Istituto nazionale confederale di assistenza) Cgil che ha ingaggiato la vertenza sin dal 2011, quando l’imposta “contestata” venne introdotta con un decreto degli ex ministri Riccardo Maroni e Giulio Tremonti: a seconda del permesso richiesto i migranti hanno dovuto pagare dagli 80 ai 200 euro a persona. La metà del gettito è servita a finanziare il fondo per il rimpatrio.

Inca Cgil solleva il caso davanti alla Corte di giustizia europea. Questa si esprime nel settembre 2015 dichiarando illegittimo il decreto perché la tassa è «sproporzionata e in aperta contraddizione con le finalità di integrazione e accesso ai diritti». E troppo più esosa del contributo richiesto a cittadini italiani per il rilascio di una carta di identità. Ma il Governo italiano non modifica il decreto.

Forte della sentenza europea, allora, Inca- Cgil presenta ricorso avverso il decreto Maroni al Tar Lazio che lo accoglie e cancella, dal 2015, il contributo a carico dei migranti. Parte il ricorso al Consiglio di Stato che conferma nel merito. Siamo a maggio 2016: la tassa di soggiorno è stata cancellata, ma i rimborsi delle imposte pagate ancora non partono.

Inca Cgil – assistita dall’avvocato Maria Afrodite Carotenuto dello studio omonimo a Napoli, dagli studi Santini e Angiolini (di Roma) – sferra l’ultimo attacco. Dapprima inoltra le richieste di rimborso e a stretto giro fa partire le cause pilota. La prima si chiude. Oggi la famiglia Compaore attende quanto le è dovuto. Quanto ancora dovrà aspettare? Lo Stato deve effettuare il pagamento, ma può anche ricorrere in appello. La storia, insomma, non è ancora finita.

Pubblicato: Mercoledì, 22 Febbraio 2017 11:59

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