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Caso Regeni: Manconi, speranze verità esili, Italia poteva fare di più
Adnkronos, 25 gennaio 2017
"Moltissime frustrazioni, moltissimi inganni, speranze ancora vive ma assai esili". Così il senatore Luigi Manconi fa il punto con l'Adnkronos sulla ricerca della verità per Giulio Regeni, ad un anno esatto dalla scomparsa in Egitto del giovane ricercatore friulano, il cui corpo torturato e senza vita fu trovato il 3 febbraio alla periferia del Cairo. "L'Italia avrebbe dovuto fare di più dal primo momento", aggiunge il senatore, Presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti umani.
"Finora, dopo tardivi impegni di cooperazione, le acquisizioni sono state molto modeste. Solo di recente è stato consegnata una gran mole di materiale indistinto non tradotto, che richiede dunque ancora molto lavoro di approfondimento, e di cui oggi è ancora oggi impossibile valutare la rilevanza", spiega Manconi riferendosi a quanto fornito dalle autorità egiziane. "Anche quella che in questa ore è stata presentata come novità clamorosa è in realtà una cosa conosciuta da tempo e che ha esclusivamente il pregio di confermare che Giulio Regeni era in realtà sorvegliato da ben prima di quanto fosse stato ammesso", prosegue il senatore, riferendosi al video nel quale Mohammed Abdallah, il capo del sindacato autonomi degli ambulanti del Cairo, chiede denaro a Regeni.
"Quel video è la prova dello scenario più fosco e di conseguenza anche il meno decifrabile: ovvero Regeni è stato tradito e venduto", nota Manconi, aggiungendo che però non sappiamo quale sia stato "il suo destino una volta tradito e venduto".
Depistaggi fanno sì che le poche informazioni a disposizione vadano prese con le molle
"Sappiamo oggi con certezza che un apparato dello stato egiziano lo ha sottoposto a controllo. Non sappiamo se sia stato la polizia, dipendente dal ministero dell'Interno, o il servizio segreto civile - rimarca il senatore - addirittura si è arrivati a dire che dopo alcuni giorni di sorveglianza, considerato che risultava inoffensivo, la sorveglianza fosse stata interrotta. Palesemente è vero il contrario: appena alcuni giorni dopo Giulio è stato rapito".
"Ma il fatto più grave - sottolinea Manconi - è che queste notizie frammentarie e contraddittorie arrivano dopo lunghissimi mesi, almeno dieci, di negazione totale e di una successione impressionante di depistaggi: dall'originale incidente alle allusioni ad affari di droga e di sesso, al delitto da parte di una gang criminale i cui membri sono stati poi tutti uccisi. Questo rende anche le poche informazioni a disposizione da prendere con le molle".
Diretto a Fiumicello (Udine), dove oggi incontra i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, Manconi afferma che "l'Italia avrebbe dovuto fare di più dal primo momento". Il nostro paese, spiega, "ha compiuto un solo atto dotato di una sua forza, ovvero il richiamo dell'ambasciatore al Cairo l'8 aprile scorso. Ma questo, gesto sicuramente significativo, non è stato accompagnato dall'adozione di misure altrettanto energiche e di provvedimenti che, senza ovviamente arrivare alla totale rottura dei rapporti diplomatici con l'Egitto, facessero sentire la forza di uno stato democratico e sovrano".
Si poteva agire su flussi turistici ed interessi economici
"Non si è fatto nulla d'importante rispetto al flusso turistico dall'Italia all'Egitto, non si è intelligentemente utilizzato il fatto che l'Italia costituisce il primo mercato europeo per i prodotti egiziani", nota ancora Manconi, secondo il quale se il giacimento di gas Zohr scoperto dall'Eni davanti alla costa egiziana "interessa moltissimo all'Italia, altrettanto certamente interessa moltissimo all'Egitto".
"L'Egitto come nazione è sicuramente un paese amico dell'Italia, il regime di al Sisi è un sistema dispotico - afferma Manconi - Il nostro paese aveva il dovere di parlare chiaro e di porre la questione della tutela dei nostri connazionali in Egitto e della protezione dei diritti umani degli egiziani, senza che ciò ovviamente comportasse alcuna minaccia o tanto meno dichiarazione bellica, ma senza quel complesso d'inferiorità che è sembrato nutrire".
"Cambridge qualcosa di più poteva fare - nota infine il senatore, riferendosi all'ateneo britannico per il quale lavorava il giovane ricercatore italiano - L'università ha avuto inizialmente un atteggiamento di non collaborazione che oggi pare intenzionata a modificare".