Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Notizie

Non rifare gli errori del passato in Libia e con i CIE

art huff 9-1-17l'Huffington Post, 09-01-2017
Francesco Rocca
Presidente nazionale Croce Rossa Italiana

Lo abbiamo detto più di una volta: la questione dei flussi migratori è un fenomeno che continuerà per anni e come tale deve essere trattato, ovvero deve essere gestito in maniera coordinata e coesa dall'Unione europea tutta.

Quando è stato portato a termine l'accordo tra l'Ue e la Turchia per fermare i flussi migratori, abbiamo sollevato tutti i nostri dubbi: non è chiudendo una frontiera o impedendo i viaggi della speranza che si affronta la questione migranti, senza tra l'altro avere assicurazioni sul trattamento delle persone fermate e sull'accesso umanitario. Cosa succede ai migranti fermati in Turchia? Come vivono? Avranno l'accesso al sistema sanitario, alle scuole, al lavoro?

Le stesse domande, che ci siamo posti per l'accordo con il governo turco, possiamo replicarle in vista di un eventuale accordo con la Libia. Dopo la guerra del 2011, i governi occidentali si sono affrettati nel firmare accordi economici con il nuovo governo libico, senza però mettere il rispetto dei diritti umani in agenda. Per questo, mi voglio rivolgere al governo italiano che, con le visite del ministro dell'Interno Marco Minniti, cerca di ampliare gli accordi bilaterali per i rimpatri.

La speranza è che non si facciano gli errori fatti nel passato e che la dignità e la protezione dell'essere umano siano sempre al centro degli accordi italiani ed europei: la migrazione non si ferma solamente perché non arrivano le barche sulle nostre coste. Bisogna essere sicuri che i paesi di transito siano pronti ad accogliere e rispettare i diritti umani. E soprattutto bisogna aggredire le cause delle migrazioni, che siano guerre, povertà, instabilità sociale, cambiamenti climatici, siccità con piani di cooperazione sostenibili nel tempo e non operazioni di polizia o solamente con accordi tipo quello Ue-Turchia.

I nostri governi si devono fare carico di tutto questo, come dell'assicurare vie sicure e legali ai migranti e la loro protezione in ogni momento del viaggio, come l'accesso alle cure sanitarie e ai servizi di base. D'altra parte proprio di questo si è discusso durante i meeting sulle migrazioni organizzati a New York in concomitanza con l'ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Meeting dove i nostri governi hanno preso degli impegni.

Non esiste, al momento, una concreta politica di cooperazione, capace di intervenire a medio-lungo termine sui fenomeni migratori. Basta fare un esempio che è il simbolo del fallimento delle cosiddette politiche di sviluppo: negli anni '80 accoglievamo persone scappate dal Corno d'Africa, dopo oltre trent'anni, la situazione è drammaticamente identica. È evidente che i rimpatri non possono essere l'unica soluzione. Tanto per fare un altro esempio, un migrante che scappa da un posto dove i cambiamenti climatici hanno portato la siccità merita di essere rimandato a casa?

Da anni diciamo, anche, che mancano un approccio coordinato a livello comunitario e una riforma del sistema di accoglienza europeo. Sulla pelle dei migranti si giocano le campagne elettorali in tanti paesi europei, come nel nostro che ormai è in una campagna elettorale permanente. Fomentare l'odio e la xenofobia, soffiare sul fuoco della paura del diverso, chiudere la porta a chi ha bisogno: tanti sono i modi in cui un certo tipo di politica cerca di raccattare qualche voto frutto della disperazione.

D'altra parte, non dobbiamo avere paura di parlare di rispetto delle regole, per tutti, in maniera eguale, che siano arrivati in barca o che siano italiani da sette generazioni, non cambia. Chi delinque va fermato, ma basta con la narrazione tossica sui migranti, basta con la strumentalizzazione delle notizie e la cattiva informazione che porta all'equazione delinquente uguale immigrato. Così non si combatte l'immigrazione, si fomentano solo nuove guerre tra poveri.

Siamo arrivati al punto che quando si parla di migrazioni, chi sostiene la sacrosanta tutela dei diritti fondamentali della persona e il rispetto delle convenzioni sottoscritte anche dal nostro Paese sembra essere diventato un nemico della nazione: è un paradosso inaccettabile.

Sempre per evitare gli errori del passato, bisogna dire a chiare lettere che l'apertura, o riapertura che dir si voglia, dei famigerati CIE, acronimo di Centri di Identificazione ed Espulsione, non è una soluzione, come non lo è stata nel passato. Il punto è che questi centri sono una sorta di zona grigia, non sono carceri, non sono centri di accoglienza.

Sono luoghi dove le persone possono aspettare fino a 12 mesi una fine non meglio specificata. Troppi i rischi nella gestione e nel rispetto della persona. Ma soprattutto, perché non si applicano le leggi già esistenti invece di tornare al modello fallimentare dei CIE? Se una persona delinque, perché aspettare la fine della pena per poi farlo transitare nei CIE? Non si può identificare e nel caso espellere prima?

L'impressione è che la notizia della riapertura CIE sia un po' dettata dal clamore mediatico legato al terrorismo. Posso capire tutto, ma la criminalizzazione dei migranti, proprio no. Sembra quasi che per rispondere a un certo tipo di politica, le Istituzioni debbano puntare sulla sicurezza.

Mi spiace dirlo, ma per chi delinque sul suolo italiano le leggi ci sono, molte volte però manca l'applicazione. E non saranno certo i CIE a risolvere questo problema. Non abbiamo bisogno di zone grigie, abbiamo bisogno di approcci condivisi e concreti. E l'Unione Europea si deve fare carico responsabilmente di un movimento di popolazioni storico, dovuto alcune volte anche a errori delle politiche occidentali, alla globalizzazione estrema e alla povertà che aumenta invece di diminuire.

Ritornare a parlare solo di CIE e di motovedette in Libia come risposta alla cosiddetta emergenza immigrazione è sinonimo di sconfitta di un sistema che continua a trattare le migrazioni come, appunto, un fenomeno emergenziale.

Pubblicato: Lunedì, 09 Gennaio 2017 11:22

Citrino visual&design Studio  fecit in a.d. MMXIV