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L'Europa svolta a destra: mai così forte il vieto conservatorismo

trumpdi Ubaldo Pacella

L’ elezione di Donald Trump a 45° presidente degli Stati Uniti fa il paio sulla sponda atlantica della vecchia Europa con i preoccupanti rigurgiti di nazionalismo, condito da un populismo sempre più becero dal quale si propagano ventate di razzismo, i cui effluvi avvelenano le opinioni pubbliche, impaurite, tremebonde, visceralmente ostili ad ogni establishment.

Il sogno di un nuovo continente unito, solidale, riformatore dove i valori etici, i diritti della persona e le conquiste sociali fossero il punto di riferimento comune, rischia di evaporare. Una UE a 28 pensata come moderno aggregatore di democrazia, dopo la caduta del muro di Berlino, l’implosione dell’Unione Sovietica e del socialismo reale mostra oggi tutti i limiti di una scelta ambiziosa quanto ambigua, adottata, più o meno in buona fede, ma senza dubbio in modo troppo superficiale, sotto il profilo dei grandi principi ideali, cui i Paesi dell’occidente si sono ispirati nella seconda metà del ‘900, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.

Oggi a Bruxelles si corre sul filo del rasoio, strati sempre più vasti di popolazione da nord a sud da est a ovest guardano con preoccupazione e livore alla capitale dell’Unione Europea. Covano ansie di riscatto del tutto emotive, identificano nei politici quella classe dirigente che li ha visti impoverire, con il sostegno alla finanza predatrice, ad una dissennata economia globalizzata che ha finito per aggredire i diritti, le tutele, le conquiste sociali e culturali degli ultimi decenni, senza che questi divenissero patrimonio di quel “sud” del mondo in preda allo sfruttamento. I popoli europei, soprattutto gli strati più deboli e i Paesi più esposti come l’Italia, vivono una stagione ormai troppo lunga di smarrimento, vedono cadere i propri modelli sotto l’impeto di un affarismo, di una economia che acuisce a dismisura proprio quelle differenze di censo, cui aveva fatto  argine il ceto medio nei decenni passati. Questi fattori erano stati la novità e la spinta alla modernizzazione dell’Europa post bellica. Una pessima quanto colpevole redistribuzione del reddito e della ricchezza prodotta dalle nostre economie ha finito, invece, per marginalizzare ampi strati popolari, sino a rigettare il ceto medio nell’insicurezza tipica del proletariato, per di più in cambio di nulla.  Un modello sociale che per la prima volta nella storia pone in essere un conflitto tra generazioni. Capace di offrire ai figli prospettive assai meno favorevoli rispetto a quelle dei padri.

Queste tensioni, sottovalutate o in alcun modo recuperate entro un disegno politico solidale, improntato alla responsabilità, alla condivisione all’ equità, produce  una frattura che rischia di essere insanabile.

Le colpe, come è ovvio, non sono solo a Bruxelles, anche se la burocrazia dell’Unione Europea ha fatto largamente la sua parte, si annidano nella mancanza di un grande disegno politico strategico, nella evanescenza di un pensiero nobile, di obiettivi ambiziosi, di un progetto civile e sociale di Europa dei valori.

Gli effetti perversi di una globalizzazione “corsara” sono stati sin troppo sottovalutati. Il cambiamento culturale e tecnologico non è stato supportato, in modo sufficiente, dall’elaborazione di un pensiero moderno. La politica si è ritratta dalla sfera sociale, così come l’economia, lasciando libero campo alle scorrerie di una finanza predatrice, senza vincoli o mediazioni, in una parola ha smarrito le ragioni stesse del suo esistere. Di qui l’onda montante dell’antipolitica, la ribellione sorda e sterile verso le classi dirigenti. Quel vento non di contestazione idealistica, bensì di giacobinismo represso ha dato vita ad una sorta di no astioso a qualsiasi forma di potere o di responsabilità della gestione della cosa pubblica. Incapaci di comprendere il malumore diffuso tra i popoli, inerti rispetto alle politiche economiche, fragili di fronte al terrorismo, i politici europei in ogni Paese hanno pensato di cavalcare lo scontento additando l’altro, in primis Bruxelles e la UE come responsabile di tanti fallimenti, che segnano la carne viva di milioni di cittadini.

Si è pensato a salvare le banche, non le persone ha tuonato papa Francesco e questa verità è risuonata nei corridoi dei palazzi del Parlamento e della commissione Europea come una colpa muta, ignorata in apparenza, per non doverne condividere le responsabilità.
Gli egoismi nazionali, primo tra tutti quello della Germania della cancelliera Angela Merkel, hanno finito per aggravare la crisi economica, in una spirale recessiva capace di risucchiare l’intero continente, ad esclusione di quelle economie germanocentriche che se ne sono ampiamente avvantaggiate, ma che hanno influenzato negativamente le proprie opinioni pubbliche, nel declino dei valori di solidarietà, inclusione, aiuto alla sviluppo, riconversione. Paradigma di questa politica dello stivale chiodato è stata la Grecia, prima sfruttata, poi duramente colpita per i propri errori, salvata con grande ritardo, dopo le scorrerie della speculazione, solo per consentire a banche e imprese tedesche e francesi di recuperare la propria esposizione finanziaria, mettendole al riparo dal tracollo, in uno stile puramente nazionalista, dove gli interessi delle nazioni sono ampiamente anteposti a quelli dall’ Unione europea. Come ci si può allora stupire se un vento ferigno spira in Europa da Ovest a Est, sulle note di un conservatorismo ottuso e livido.
Le politiche dell’austerità imposte con cieca, violenta incisività dalla Germania sembrano lasciare campo aperto alle dottrine più conservatrici. Basta dare uno sguardo sommario alla geografia del vecchio continente.

La Brexit ha inchiodato ad un passato irripetibile la Gran Bretagna, illudendosi di poter mettere indietro le lancette della storia come al congresso di Vienna della restaurazione. Le prossime elezioni francesi si giuocheranno tra la destra populista di Marianne Le Pen e la coalizione centrista, con i socialisti francesi alle corde dopo i fallimenti, in ogni campo, di Hollande. In Germania a contrastare frau Merkel non potrà che essere la destra più o meno dichiaratamente xenofoba. Del resto quale spazio politico potrebbero avere i social democratici dopo essere stati fedeli quanto oscuri servitori delle scelte della cancelliera senza alcun vero distinguo, né aver imposto correzioni di rotta in campo interno come in ambito internazionale.

La Spagna dopo dieci mesi di non governo e due elezioni politiche fallimentari ha ora un governo di minoranza centrista di Rayoi, un movimento antagonista diviso, un partito socialista a pezzi. Olanda e Danimarca hanno virato già verso i conservatori. La Grecia di Tsipras è scomparsa dai radar. Il velleitarismo di sinistra, al pari di quello populista nostrano del movimento 5 stelle, è naufragato sugli scogli di una crisi economica e di un salvataggio europeo, che hanno dimostrato quanto poco possano fare i governi nazionali, quando la finanza internazionale detta le regole. L’Italia assiste ad un vero e proprio assedio al Governo di centro sinistra di Matteo Renzi, sottoposto al fuoco amico di una marginale sinistra del partito, indifferente alle sorti del Paese, ma tutta concentrata nell’abbattere, a mezzo referendum costituzionale, colui che ha estromesso il vecchio gruppo dirigente del PCI, che nonostante vent’anni di sconfitte tra Berlusconi e Bertinotti, non si rassegna a non contare più nei salotti romani o in quelli della buona borghesia meneghina.

I Paesi dell’Est dalla Polonia alla repubblica Ceca, dalla Slovacchia sino all’Ungheria sono nelle mani di un conservatorismo pernicioso, capace di minarne le fragili basi democratiche, comunque all’assalto di Bruxelles per riconquistare potere agli stati nazionali.

Questo è il preoccupante scenario sotto i nostri occhi: una Europa flagellata da pulsioni di destra, in preda a paure irrisolte, emotiva e contraddittoria. Governi in ordine sparso antagonisti tra loro, con poca voglia di cooperare e molta di far saltare irresponsabilmente il banco. Una potenza economica come la Germania che occupate, in stile militare, tutte le poltrone importanti a Bruxelles tra commissari e burocrati non riesce ad esercitare al contrario di quanto fece Kohl una influenza nobile, fatta di valori, di progetti, in una chiave inclusiva, resta bensì attenta a mantenere intatti i propri rendimenti, con una visione angusta e strenuamente nazionale. Il risultato è una sostanziale impotenza della UE, un rischio geo politico ed economico gravissimo, l’aprirsi di una ulteriore fase di instabilità dei mercati, con l’ombra inquietante del “tanto peggio tanto meglio” che corrode gli spiriti.

Dobbiamo rispondere a tutto questo con una partecipazione consapevole, un’etica della solidarietà, il rispetto dei valori intangibili della persona, un progetto di civiltà inclusiva, una tecnologia messa al servizio dei bisogni dei popoli, una economia etica.

Pubblicato: Giovedì, 17 Novembre 2016 18:13

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