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Da vittime a carnefici, perché anche le donne si avvicinano al jihad

art huff 12 setl'Huffington Post, 12-09-2016
Augusto Rubei

Un paio di giorni fa la polizia francese ha arrestato tre donne con il sospetto che stessero preparando un attacco terroristico a Gare de Lyon. Sono state fermate a Boussy, nella banlieue di Parigi. E una di queste aveva giurato fedeltà all'Isis.

Non è la prima volta che le autorità di un paese europeo vanno a caccia di una "lei". Era accaduto anche in Italia, quando la scorsa estate le nostre forze dell'ordine avevano arrestato i familiari della foreign fighter Maria Giulia Sergio, convertita all'Islam da Inzago, nel milanese, per arruolarsi in Siria.

Il dibattito intorno ai motivi e alle cause che spingono centinaia di ragazze a sposare la causa del jihad è piuttosto ampio e articolato. Andiamo per ordine. Partiamo dalle persone. Lei la chiamano "Lady al Qaeda", all'anagrafe Aafia Siddiqui, e per anni è stata la terrorista più ricercata al mondo. Oggi è detenuta negli Stati Uniti presso la base militare di Fort Worth, Texas.

Aaifa possiamo considerarla la pioniera di un movimento che negli anni ha assunto una dimensione imponente. Dopo di lei c'è Samantha Lwethwaite, in arte la "vedova bianca", che con i somali di al Shabaab guidò il terribile attacco del 2013 al Westgate di Nairobi. Aaifa e Samantha sono le due figure più note all'intelligence occidentale. Le loro gesta hanno ispirato centinaia di giovani donne a raccogliere i valori e i principi del Califfato.

Secondo un vecchio (ma non troppo) sondaggio del Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence di Londra, almeno 4.000 cittadini occidentali si sarebbero uniti al conflitto in Iraq e Siria. Di questi, circa 550 sarebbero donne, tutte emigrate dall'Europa nei territori controllati dall'Isis.

Perché? Cosa è cambiato? Ovviamente la propaganda dello Stato Islamico ha condizionato fortemente i loro umori e le loro coscienze. È nata una nuova radicalizzazione, più rapida e approssimativa se vogliamo, che ha contribuito a originare un subdolo senso di riscatto socio-culturale.

Erano mogli e madri, guardavano al fronte con timore fornendo aiuto indiretto ai miliziani. Oggi li sposano, diventano muhajiarat e partecipano direttamente alla lotta armata. La rete in tutto questo ha giocato un ruolo determinante e il brand ha fatto da minimo comune denominatore. Dopo le prime "migrazioni rosa" sul campo di battaglia, in Siria, come risposta alle violazioni dei diritti umani del presidente Bashar al Assad, la scala di reclutamento si è evoluta. La guerra le ha unite e hanno iniziato a solidarizzare tra loro costituendo gruppi autonomi e indipendenti. Vedi anche: brigata al Khanssaa.

Del resto Internet è un luogo perfetto per la radicalizzazione femminile, perché contribuisce a creare una cultura di pari opportunità e l'impegno diretto nella lotta armata, tra gli ambienti jihadisti, oggi rappresenta un vero e proprio ascensore sociale.

Quando "Lady al Qaeda" il 18 luglio 2008 sfila l'M4 all'ufficiale dell'Fbi che qualche ora prima l'aveva arrestata in una stradina di Ghazni, in Afghanistan, manda un messaggio chiaro a tutto il mondo arabo, ma soprattutto all'attuale numero uno di al Qaeda, Ayman al Zawahiri, allora braccio destro di Osama bin Laden, che pubblicamente aveva posto il suo veto all'ipotesi di arruolare soldatesse tra le fila dell'organizzazione.

Sia chiaro: quella non può certo considerarsi una risposta beffarda agli occhi di un leader qaedista, bensì una preventiva e banale forma di difesa per darsi alla fuga. Ma in ogni modo aprì uno spiraglio nei cuori di molte giovani arabe. Oggi, trascorso quasi un decennio, quelle stesse donne hanno compreso che il solo modo per reagire alle imposizioni e alle storture del radicalismo è mostrare la forza. A costo di farsi saltare in aria per "amore di Allah".

Da vittime a carnefici. Solo così riusciranno a trovare un posto nella gerarchia assolutistica del Califfato.

Pubblicato: Lunedì, 12 Settembre 2016 12:24

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