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Ghetto bulgaro, Caritas in campo per gli ultimi

art avv 12 setAvvenire, 12-09-2016
DANIELA FASSINI
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??Vivono nella terra di nessuno, senza acqua, elettricità e raccolta rifiuti. Sono oltre 800, rom bulgari, fra cui molti bambini. Sono gli abitanti della baraccopoli di Borgo Mezzanone, a 40 km da Manfredonia e 10 da Foggia. Mentre le istituzioni si interrogano sul da farsi, associazioni e Caritas cercano di offrire i servizi minimi per rendere più dignitosa la vita in questo 'slum' di casa nostra. «Mentre il medico studia, l’ammalato muore». Usa un proverbio napoletano, don Francesco Catalano, direttore di Caritas Foggia, per raccontare cosa succede laggiù. Nella terra dove i pomodori si colorano di rosso vergogna.

Qui Caritas interviene in attesa della burocrazia e delle istituzioni. Nella Capitana, il territorio che comprende la provincia di Foggia e cinque diocesi, non c’è infatti solo il ghetto di Rignano, il più famoso, abitato da oltre duemila nordafricani- contadini. «La situazione di Rignano mette in ombra altri ghetti – racconta don Francesco – ma ce ne sono almeno dieci con meno presenze ma non meno vergogna». Immigrati irregolari, sfruttati dai caporali e sottopagati dalle imprese agricole che, per 20 euro al giorno, lavorano sotto il sole, dalla mattina alla sera, sette giorni su sette.

Non c’è riposo, non ci sono diritti da difendere. Si vive in baracche, in condizioni disumane. «Lo sfruttamento dei lavoratori stagionali e le condizioni in cui vivono è una sorta di vergogna nelle scatole cinesi» attacca il numero uno della Caritas. E a Borgo Mezzanone la situazione è ancora più drammatica perché i contadini-lavoratori sono persone che arrivano dall’Europa su pulman. Sono interi nuclei familiari che si spostano, con bambini piccoli che vengono lasciati soli nello slum, in mezzo alla sporcizia e al degrado per intere giornate, mentre i genitori lavorano nei campi.

«Non possiamo commuoverci quando vediamo il bambino morto sulla spiaggia greca e non ci accorgiamo che qui ci sono bambini che annegano nella sporcizia e muoiono sotto le bombe batteriologiche dei rifiuti ». Ma i ghetti sono solo «la metastasi » di un male, sottolinea don Francesco, che è la irregolarità del rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro. «Senza contratto nessuno ti affitta la casa e senza casa non puoi prenderti cura di tuo figlio, lavarlo, vestirlo e mandarlo a scuola. Non puoi comprare un auto per andare al supermercato e fare la spesa – aggiunge – i ghetti sono il segnale di un qualcosa che non funziona nel mondo del lavoro». Ma è da molto tempo che si racconta e si parla di sfruttamento del lavoro nei campi. Intanto crescono le tendopoli e si moltiplicano le situazioni di degrado. Per le istituzioni l’unica soluzione rimane lo smantellamento degli insediamenti irregolari e non a norma. Ma bisogna anche pensare al destino di intere famiglie. «Nessuno di noi vorrebbe che i ghetti restino in piedi – aggiunge – ma il punto debole della catena rimane sempre il lavoro».

Ed è su questo che punta il numero uno della Caritas, promotore di un tavolo in prefettura per affrontare l’emergenza. Martedì prossimo l’ennesino incontro con il prefetto. «A fine maggio abbiamo sottoscritto un protocollo d’intenti con i sindacati e le associazioni del terzo settore per contrastare il lavoro nero e il caporalato – aggiunge – abbiamo già iniziato a fare un censimento tra i lavoratori e l’obiettivo è quello di creare delle liste di prenotazione efficaci e controllabili». Intanto, «per curare l’ammalato », Caritas partirà a breve con una nuova campagna d’informazione sui diritti alla sanità pubblica degli immigrati irregolari. «Molti di loro non sanno che possono essere curati gratuitamente – aggiunge – ed è quello che faremo nei nostri ambulatori». L’obiettivo è quello di ricollocare chi, finita la stagione del pomodoro, è intenzionato a restare e ad avviare un percorso lavorativo.

Pubblicato: Lunedì, 12 Settembre 2016 11:47

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