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"Io, in fuga dal Gambia all'Italia perché gay"

art rep 6 setla Repubblica, 06-09-2016
MASSIMILIANO SALVO

La storia di un giovane profugo che solo in Liguria ha trovato la serenità e l’integrazione sociale

La sua famiglia provava da anni a cercargli una sposa, ma lui rifiutava sempre con la stessa scusa. «Prima voglio finire il liceo», diceva per nascondere quel segreto che nessuno doveva scoprire. Nel villaggio del Gambia dove abitava giravano però voci malevole, sospettose di quel giovane che nessuno aveva mai visto con una ragazza. Non gli è rimasta che la fuga, per evitare la pena di morte prevista dalla legge islamica. A Genova, con lo status di rifugiato ottenuto in primavera e la tessera dell'ArciGay in mano, trova finalmente il coraggio di dire: «Sono omosessuale. Anche se sono musulmano».

Racconta la sua storia a bassa voce, mentre nella stanza accanto dormono i suoi coinquilini dell'Africa occidentale, profughi e musulmani come lui. «Non devono sapere nulla, non lo accetterebbero», spiega chiedendo di non rivelare il suo nome ma solo un nomignolo che qui nessuno conosce, "Bondu". Ventun'anni, orfano di entrambi i genitori, Bondu è sbarcato a Lampedusa lo scorso anno dopo un viaggio di migliaia di chilometri nel Sahara. «A Genova sono felice perché non ho più paura di essere quello che sono», sorride commosso. Non ha mai vissuto così perché il Gambia - una strisciolina di terra grande il doppio della Liguria, incuneata dentro il Senegal - è una feroce dittatura segnata da violazioni di diritti umani e torture. Nel 2015 il sanguinario presidente Yahya Jammeh durante un comizio ha detto: «Ai gay taglieremo la gola», provocando lo sdegno del mondo ma non dei suoi concittadini.

Sono stati infatti amici e familiari i primi a condannare la relazione di Bondu con un ragazzo afroamericano che ogni estate tornava in Gambia dagli Stati Uniti per trovare la sua famiglia. «Quando anche gli insegnanti di scuola mi hanno chiesto se era vero che mi piacessero gli uomini, ho capito che dovevo scappare o rischiavo l'arresto», ricorda Bondu. E' il 2014: in una lettera confessa tutto allo zio che lo ha cresciuto e fugge in Senegal dal fratello. «Ma era già stato avvisato. Mi ha detto che non facevo più parte della famiglia». Inizia così un viaggio attraverso Mali, Burkina Faso e Niger sino alla Libia, dove trova lavoro come commesso in un negozio. Con il diffondersi del terrorismo islamico la sicurezza della capitale libica precipita: ma Bondu ormai non può rientrare in Gambia, perché lo zio lo ha denunciato alla polizia e su di lui pende la condanna a morte della Sharia. «Per questo ho deciso di imbarcarmi per l'Italia», racconta.

Il 17 febbraio 2015 naufraga a Lampedusa, un mese dopo arriva in Liguria. E' l'inizio di una nuova vita: frequenta un corso da pizzaiolo, impara a parlare italiano con un livello di terza media e fa il volontario per il Comune di Genova. A marzo esce dalla questura sventolando lo status di rifugiato in mano che gli consente di restare in Italia per cinque anni. Con gli occhi che brillano dice: «E' uno dei giorni più belli della mia vita». A sapere la verità sul motivo della sua fuga dal Gambia – oltre alla commissione del Ministero dell'Interno che gli ha riconosciuto il diritto di asilo - sono solo alcuni operatori del consorzio Agorà.

Pubblicato: Martedì, 06 Settembre 2016 12:36

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