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Giornata mondiale del rifugiato, almeno oggi pensiamo a chi scappa dalla morte alla ricerca della vita

giornata rifugiato20-06-2016
Valentina Brinis

Qualche giorno fa ero al porto di Pozzallo e ho assistito allo sbarco di oltre 140 persone provenienti per lo più dalla Nigeria e dal Mali. Erano a bordo della nave di MSF (Medici Senza Frontiere) e mentre attendevano di scendere sbirciavano da dietro il portellone aperto a metà, per capire chi ci fosse ad aspettarli. Sorridevano e, quando incrociavano lo sguardo di qualcuno, salutavano. Poco dopo hanno cominciato a scendere sulla banchina dove da subito sono stati soccorsi dai medici presenti sul posto, fotografati dai poliziotti e fatti salire sul pullman che li avrebbe portati nel centro hotspot più vicino. Fin qui tutto regolare. L'atmosfera era molto distesa e quelle pratiche venivano svolte con molta disinvoltura senza che ci fossero momenti di tensione o di disorganizzazione.

Mentre il tutto era in corso a un certo punto ho colto una scena tenerissima: ovvero quella di un bambino che teneva in mano un libretto da colorare e seguiva la mamma durante i passaggi appena elencati. Improvvisamente mi è salito un nodo in gola. Ho pensato a quando ero piccola, alla sensazione di protezione che provavo quando stavo con i miei genitori e a quel senso di tutela che avevo nei loro confronti. Mi commuove pensare che si tratti di un sentimento innato che quando si è bambini non si decide se provare o no. In quel momento ho capito immediatamente cosa aveva portato lei, la mamma, a compiere quel viaggio tremendo con un figlioletto così piccolo senza avere la certezza di arrivare sani e salvi. E ho pensato che qualunque madre tenterebbe di compiere quell'impresa per fuggire dalla morte. Anche senza la certezza di ritrovare la vita.

Ma io non sono una madre e l'immedesimazione con quella signora si è compiuta in me fino a un certo punto. Ero molto razionale quando pensavo a quel gesto. Sono crollata, invece, quando ho pensato a lui, al figlio. Chissà a cosa stava pensando, chissà se riusciva a cogliere l'eroicità della scelta della sua mamma. E chissà se davvero quel libretto lo aveva tranquillizzato.

Oggi è la giornata Mondiale del Rifugiato e vale la pena fermarsi, anche solo per un minuto, alla drammaticità di situazioni come queste. L'effetto, a mio avviso il più grave, della fuga verso l'Europa di migranti provenienti da molti paesi africani e asiatici, è la disgregazione dei legami familiari. Non solo dovuta alla distanza fisica e geografica ma anche a quella emotiva e psicologica. Non è detto, infatti, che il viaggio compiuto dalla mamma e il suo bambino sia per forza un elemento di unione. Potrebbe essere anche la fonte di traumi molto profondi. E non è detto, poi, che quel bambino sarà in grado di capire e comprendere fino in fondo la scelta della mamma. Dipenderà da innumerevoli fattori. Uno di questi - giusto per lanciare un messaggio politico in questa ricorrenza - riguarda le possibilità di pianificare un futuro più sereno di quanto lo sia stato il passato. Ciò sarà possibile solo se la loro accoglienza si rivelerà dignitosa e lungimirante, se incontreranno operatori e servizi qualificati e se si impegneranno a compiere al meglio questo lungo e faticoso percorso.

La sua riuscita non conviene solo a chi è direttamente coinvolto ma alla società intera di cui, tra l'altro, i migranti fanno già parte. Bisogna solo scegliere quale via intraprendere, senza dimenticare però che la mancata integrazione provoca danni incalcolabili in termini di marginalità e di disagio sociale la cui corsa ai ripari è certamente più costosa di ogni politica di prevenzione.

Pubblicato: Lunedì, 20 Giugno 2016 17:26

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