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Eritrea, "Torture e violenze sono quotidiane ed estesissime"

art rep 9 giula Repubblica, 09-06-2016

GIACOMO ZANDONINI

Presentato ieri a Ginevra, il rapporto della Commissione d’Inchiesta creata dall’Onu che parla per la prima volta di crimini contro l’umanità nel piccolo paese africano, controllato da 25 anni dal partito unico di Isaias Afewerki. L’UE, preoccupata di fermare l’immigrazione, potrebbe però far finta di nulla

ROMA - “Ufficiali governativi hanno compiuto crimini contro l’umanità, all’interno di una campagna di violazioni diffuse e sistematiche contro la popolazione civile del paese”. Le conclusioni della Commissione d’Inchiesta Onu sull’Eritrea, attese da gran parte della diaspora del paese africano, sono state rese pubbliche ieri a Ginevra e potrebbero gettare nuova luce sui complessi rapporti fra Unione Europea ed Eritrea. Mentre, in linea con i piani di contrasto all’immigrazione irregolare di Bruxelles, la piccola nazione del Corno d’Africa è considerata partner centrale del “processo di Khartoum” e di altre iniziative comunitarie, il nuovo report potrebbe rappresentare infatti qualcosa di più di un sassolino nella scarpa per la diplomazia del vecchio continente, contribuendo al contempo a raccontare la terribile verità della “Corea del Nord dell’Africa”.

Torture senza sosta. “Per sei mesi mi hanno torturato a giorni alterni, insieme a altre 40 persone. Dicevano che uno come me non doveva avere figli, e mi applicavano cavi elettrici sui genitali, sul palmo delle mani e sotto i piedi. Ora non posso produrre sperma, ho un danno permanente”. “Un poliziotto mi violentava tutti i giorni, per diversi mesi, di fronte a altri che poi abusavano di me”. Racconti come questi, estratti da due delle 830 interviste, e 160 deposizioni scritte, raccolte dalla Commissione d’Inchiesta in un anno di lavoro, introducono nei gironi infernali delle celle di tortura del regime, stipate di semplici cittadini, spesso giovanissimi accusati di voler lasciare il paese o di non uniformarsi ai diktat un servizio di leva disumano e senza scadenze. Sono 77 i centri di detenzione mappati dall’Onu a partire dalle informazioni raccolte dai testimoni, tutti residenti fuori dall’Eritrea.

Abusi da parte del governo. Episodi di sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, stupro, omicidio e altri trattamenti disumani e degradanti compongono il quadro drammatico di una nazione in cui, secondo Mike Smith, presidente della Commissione, “membri dell’amministrazione, del partito di governo e delle forze di sicurezza continuano a compiere abusi, in patria come all’interno della diaspora, senza che ci sia alcuna volontà politica di perseguire questi crimini”. Il regime di Isaias Afewerki, padre-padrone dell’Eritrea dal 1991, anno dell’indipendenza dall’Etiopia dopo una trentennale guerra civile, non ha autorizzato l’ingresso dell’organismo nel paese, sostenendo di essersi già sottoposto alla “universal periodic review”, la procedura standard di valutazione del rispetto dei diritti umani per tutti i membri dell’Onu.

“La comunità internazionale deve agire”. Istituita nel giugno 2014, la Commissione d’inchiesta si è innestata sul lavoro della relatrice speciale sull’Eritrea, nominata nel 2012 dal Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu. L’ex colonia italiana è insomma sotto la lente degli osservatori internazionali da tempo. La novità del rapporto della Commissione sta, però, proprio in quel “crimini contro l’umanità”, definizione legale ancora incerta, figlia dei processi di Norimberga contro i gerarchi nazisti e, più recentemente, dei tribunali speciali, da quello per l’ex-Jugoslavia a quello creato dopo il genocidio in Ruanda. “In Eritrea c’è un’impunità totale verso crimini compiuti negli ultimi trent’anni”, ha spiegato Smith, “ma da oggi in poi tocca alla comunità internazionale prendere iniziativa per far sentire la voce delle vittime e dargli giustizia”.

Dall’Onu alla Corte Penale Internazionale? A fare il primo passo dovrà essere il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a cui il report raccomanda di “riferire sulla situazione in Eritrea alla Corte Penale Internazionale”. Una possibilità che potrebbe essere però bloccata dal veto di alcuni stati membri. “Anche altri paesi”, ha sottolineato Smith durante la conferenza stampa, “potranno intervenire, perseguendo i responsabili di questi crimini, favorendone l’estradizione o, come avvenuto di recente per l’ex-presidente del Ciad Hissené Hibré, giudicato in Senegal, istituendo tribunali ad hoc”. Un monito, anche se non esplicito, all’Unione Europea, che lo scorso gennaio ha firmato un piano di supporto quinquennale al governo eritreo, prevedendo un primo finanziamento di 200 milioni di euro di investimenti nell’energia, con lo scopo di “espandere il mercato del lavoro per i giovani” e “affrontare le cause della migrazione”.

Fondi UE per il regime... Fondi che, sostengono diversi attivisti in esilio, non farebbero che rendere ancora più pervasivo il controllo del regime sulla popolazione e arricchire i trafficanti. Fino a 5mila persone, in gran parte donne e minori, continuano a lasciare l’Eritrea ogni mese secondo le Nazioni Unite. In 47mila hanno chiesto asilo nell’UE nel 2015, mentre la maggior parte vive in tendopoli, o nelle periferie delle città, in Etiopia e Sudan. Scappano da torture e da un servizio “nazionale” (militare e civile) assimilabile alla schiavitù e che, nonostante i proclami del governo, continua ad avere durata indeterminata.

… E per i vicini sudanesi. In centinaia sono però stati rimpatriati con la forza dal Sudan e dalla Libia nelle ultime tre settimane, secondo Human Rights Watch e Agenzia Habesha, e subito spediti nelle carceri del regime, senza alcuna accusa formale. Una trattamento in linea con quello che gli eritrei conoscono come “shoot to kill”, ovvero l’ordine di sparare contro chi tenta di attraversare il confine a piedi. Una deportazione di massa che potrebbe anticipare un nuovo programma di controllo delle frontiere che, sostiene il settimanale britannico “New Statesman”, dovrebbe far arrivare ingenti fondi europei al Sudan del presidente Al Bashir (già ricercato dalla Corte Penale Internazionale), incaricato di sigillare la frontiera con Eritrea e Libia.

Diplomazia sulla pelle delle persone. La diplomazia di Bruxelles, denuncia la testata, starebbe lavorando per “ridurre l’impatto” del rapporto dell’Onu sulle politiche comunitarie, schierandosi di fatto con il regime di Afewerki, il cui ministro per l’informazione, in una serie di tweet, ha definito “non imparziale”, “metologicamente viziato” e “ridicolo”, il rapporto appena presentato. Se la battaglia di consenso si combatterà, anche, a Ginevra, dove - rispettivamente il 21 e il 23 giugno - sfileranno gruppi eritrei filo-governativi e di opposizione, quella politica avrà luogo nelle stanze della Commissione UE e dei governi, europei e africani. Sarebbero almeno 700, nel frattempo, i cittadini eritrei morti nei naufragi degli ultimi dieci giorni, mentre almeno 10mila languiscono nelle carceri di un regime fra i più autoritari al mondo, erede di una guerra di liberazione che continua a essere tradita.

Pubblicato: Giovedì, 09 Giugno 2016 16:09

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