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Occorre accogliere per integrare

accoglienzaHuffington Post del 02/06/2016

di Valentina Brinis

Il maledetto contatore ha ripreso a girare. E lo fa a ritmo sostenuto. Conta, una a una, le persone, in fuga dai loro paesi di origine, che non riescono a raggiungere l'Europa via mare perché muoiono durante il tragitto. In questi giorni quel calcolatore sembra quasi impazzito talmente alta è la velocità con cui si aggiorna. Solo nella settimana appena passata è aumentato di ottocento unità. Le testimonianze di chi ha soccorso i superstiti sono altrettanto agghiaccianti perché raccontano di torture, violenze, condizioni di vita estreme e, ahinoi, di morte. C'è chi in quel viaggio ha perso il proprio figlio neonato e chi è arrivato completamente solo alla tenera età di nove mesi. Che ne sarà di loro, viene da chiedersi. Chi si prenderà cura del loro dolore? Chi guarirà quelle ferite così profonde?

Sono queste le domande da cui bisogna partire per mettere a punto un piano che punti davvero all'accoglienza. L'alternativa è reiterare i comportamenti del passato e investire esclusivamente (e in modo poco lungimirante) in risorse umane, sociali e finanziarie per fronteggiare l'emergenza: la solita, quella estiva, quella che ogni anno fa pensare al collasso del fragile sistema di accoglienza esistente. E che spinge il Ministero dell'Interno all'affannosa ricerca di nuovi posti a volte prestando la dovuta attenzione alla qualità. Ed è proprio qui che accade l'irreparabile.

È da questo momento infatti che tutto può precipitare. L'accoglienza non può più essere confusa con la sola garanzia di vitto e alloggio: un vero piano deve mirare all'autonomia della persona. Bisogna fare in modo che quest'ultima, una volta terminato il periodo trascorso nel centro, sia in grado di comunicare, di trovare un lavoro e di pagare un affitto. Se ciò accadrà il risultato sarà facilmente visibile: una diminuzione netta dei fenomeni di marginalità legati all'immigrazione. Il sistema di accoglienza a cui tendere è quello dello Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati ) che prevede una collaborazione con gli enti locali nell'allestimento dei servizi di accoglienza, sia che si tratti del vitto e dell'alloggio che dell'opportuna assistenza legale e psicologica. La sua efficacia dipende proprio dalla costruzione e dal consolidamento delle reti territoriali ecco perché è, e deve essere, riconosciuto come parte integrante del welfare locale e pertanto di supporto agli altri servizi pubblici presenti sul territorio.

Il principio è più o meno quello del famoso proverbio cinese: "se qualcuno ha fame e tu gli dai un pesce da mangiare, egli avrà di che mangiare per un giorno. Ma se gli dai una canna da pesca e gli insegnerai a pescare, avrà da mangiare tutti i giorni".

Purtroppo, però, non funziona così e i posti disponibili nella formula Sprar sono appena ventimila. E, anche se siamo il quarto paese europeo per i fondi dedicati all'accoglienza (885 milioni secondo la Fondazione Leone Moressa), il modello realizzato è sicuramente perfettibile.

Pubblicato: Giovedì, 02 Giugno 2016 14:51

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