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Manconi: «L’amnistia è una scelta politica: devono deciderla i governi»
Il Dubbio, 24-05-2016
Giulia Merlo
Il senatore del Pd presenta il disegno di legge simbolicamente dedicato a Marco Pannella per la modifica del quorum di approvazione di amnistia e indulto: «Il provvedimento del 2006 ha diminuito il sovraffollamento carcerario e dimezzato la recidiva»
«Amnistia e indulto non sono mezzi figli di un dio minore di cui vergognarsi, ma a tutti gli effetti strumenti offerti dalla Costituzione e fondamentali per il nostro ordinamento». Non usa mezze misure, il senatore del Partito democratico Luigi Manconi, primo firmatario di un disegno di legge costituzionale simbolicamente dedicato a Marco Pannella per la modifica del quorum di approvazione di amnistia e indulto. Il ddl ha raccolto le firme bipartisan dei senatori Luigi Compagna (Ncd), Riccardo Mazzoni (Ala), Peppe De Cristofaro (Sel), Altiero Matteoli (Fi) e Sergio Lo Giudice (Pd) e modifica l’articolo 79 della Costituzione, riformandolo nella parte in cui prevede la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera per l’approvazione, introducendo la maggioranza assoluta dei componenti. «Il testo attuale è il frutto di una riforma del 1992, prodotta sulla scia di Tangentopoli e con l’obiettivo di rendere i provvedimenti di clemenza più difficilmente approvabili, vista l’ampia maggioranza richiesta. Questo progetto ha funzionato, visto che, da allora, è stato approvato solo l’indulto del 2006. Una scelta nondimento criticabile, perchè ha sottratto le misure alla loro finalità d’essere strumento di politica criminale».
Invece lei propone che indulto e amnistia ritornino ad avere valore politico.
Io credo che un provvedimento di amnistia o indulto si debba legare a una maggioranza, perché si tratta di una scelta di politica del diritto. La maggioranza al governo lo adotta nella misura in cui lo ritiene utile, inserendolo in un quadro di riforme più ampio. Il quorum dei due terzi, invece, lo rende una sorta di misura apocalittica, ammantandolo di un valore di unità nazionale e che richiede il compromesso generale e il consenso di tutte le forze. Questa esigenza di far convergere tutte le parti politiche si dimostra negativa: si pensi al 2006, quando qualcuno denunciò che alcuni consensi derivavano dall’interesse di alcuni partiti a vedere indultati i reati commessi da alcuni loro appartenenti.
Eppure, indulto e amnistia hanno carattere di provvedimenti eccezionali. Possono davvero essere la soluzione al sovraffollamento carcerario?
Premetto che come sociologo ho promosso una ricerca scientifica sugli esiti dell’indulto del 2006: la recidiva tra i beneficiari fu del 34,1%. Elevata, certo, ma pur sempre la metà rispetto alla recidiva ordinaria di chi sconta per intero la pena, che si aggira attorno al 68%. Quell’indulto, che pure è stato vilipeso e disconosciuto dagli stessi parlamentari che lo hanno approvato, ha avuto un esito positivo, perché ha diminuito il sovraffollamento carcerario. Ovviamente l’effetto è durato per un periodo ridotto, che poi è il limite stesso della misura, e sono mancati stati interventi strutturali successivi, adeguati a consolidare la situazione. Quindi, misure singole di clemenza si dimostrano nei fatti addirittura utili a riaffermare la legalità, perché ripristinano condizioni umane di vivibilità alle nostre carceri e offrono al condannato una chance di ravvedimento. Insomma, amnistia e indulto non vanno considerati degli espedienti di cui vergognarsi ma strumenti costituzionalmente previsti. Il compito della politica è decidere con quale frequenza ricorrervi e come inserirli in riforme strutturali, che incidano sulle cause profonde del sovraffollamento.
Ieri è iniziata la tre giorni di sciopero degli avvocati penalisti, che protestano proprio contro una riforma del sistema penale che considerano insufficiente e disorganica.
E’ ovvio che la disorganizzazione del sistema giudiziario sia una delle cause delle condizioni disumane in cui versa il sistema penitenziario del nostro Paese. Penso all’alto numero dei detenuti nelle carceri perché sottoposti a custodia cautelare, alla lentezza esasperante dei processi e ai meccanismi di informatizzazione ancora insufficienti. Gli avvocati sono sicuramente i soggetti più sensibili al problema carcerario e percepiscono come la riforma del sistema penitenziario sia un campo ancora tutto da affrontare, nonostante quelle che io considero delle buone iniziative, promosse dal ministro Andrea Orlando e da chi lo ha preceduto, la ministra Annamaria Cancellieri.
Il tema della giustizia torna sempre più insistentemente nelle aule del Parlamento. Come si inserisce questo disegno di legge costituzionale dedicato a Marco Pannella?
Io lo considero una messa alla prova del Parlamento stesso, rispetto alle parole di stima unanimi, spese proprio in questi giorni per Pannella. Io spero che i miei colleghi vogliano ora manifestare concretamente questa stima, accogliendo e portando avanti quello che è stato il primo obiettivo della politica del leader radicale negli ultimi anni.
Ma esiste negli orizzonti del Partito Democratico l’interesse a promuovere una legge di amnistia o indulto?
Io sono solo un senatore e la decisione non spetta a me, ma certamente mi batterò perché la posizione del mio partito si avvicini alla mia personale. Considero l’indulto e l’amnistia dei mezzi eccezionali e necessari per ridurre la febbre del sistema, al fine di ripristinare la normalità e intervenire attraverso mezzi ordinari, con riforme di lungo periodo. Si tratta, però, di una posizione condivisa all’interno del Pd e, come me, molti miei colleghi ritengono che un provvedimento di clemenza sia importante, necessario e indifferibile.