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Da cittadino a clandestino Una storia degna di Kafka

art dubbio 13 magIl Dubbio, 13-05-2016
Damiano Aliprandi

Entra nel centro di identificazione ed espulsione perché è diventato clandestino dopo aver scontato la galera, ne esce dopo due mesi per poter essere rimandato nel suo paese di origine, ma lo rinchiudono nuovamente in un Cie. La vicenda, degna di un romanzo di Kafka, è stata raccontata da Anna Pulitini, che è stata insegnante e da anni si occupa di persone in carcere, le accoglie nella sua casa quando sono ammesse a misure alternative, e per quanto possibile si adopera per accompagnarle nel loro ritorno in società.

Il protagonista di questa storia, M. N., è un cittadino marocchino che per molto anni ha lavorato in Italia con regolare permesso di soggiorno. Poi, però, commette un reato, viene condannato e passa i suoi anni in cella per scontare la pena. Al termine della carcerazione scatta l'espulsione perché, non avendo più il permesso di soggiorno, risulta clandestino. Viene inviato a un Cie con tanto di scorta della polizia. Si tratta di un passaggio obbligatorio, perché dovrebbe essere appunto identificato per regolarizzare i documenti scaduti. Così stabilisce la legge e, come previsto dalla norma, dopo i due mesi "regolamentari", viene fatto uscire con l'ingiunzione di lasciare l'Italia entro 7 giorni.

Ma qui inizia il suo calvario. Per tornare nel suo Paese è necessario il passaporto che aveva smarrito, ma nei due mesi di permanenza nel Cie nessuno ha mai provveduto a fornirglielo. Quel documento è necessario per "obbedire" alla sentenza che lo vuole fuori dall'Italia. L'unica scelta che gli rimane per averne uno nuovo è di avviare le pratiche all'Ambasciata del Marocco, con la necessaria denuncia della scomparsa del vecchio documento. E la denuncia ovviamente si fa in questura, dove lui era sempre andato da regolare e non da clandestino.

Francesca de Carolis, scrittrice, ex giornalista del Tg1 e di Radiouno, e che ora si dedica anima e corpo alla situazione carceraria, ci racconta di essere andata a trovare il marocchino e dice che "non è stato difficile riconoscere nei suoi occhi, nelle sue scarse parole, nei suoi silenzi, la sua incertezza, i vuoti, il dramma psicologico di chi sa che tornare al suo Paese è tornare da sconfitto". Francesca spiega che non è stato facile, per M., comprendere che dopo l'errore che aveva compiuto, dopo il reato e la carcerazione, l'Italia non è più un Paese per lui e il suo futuro deve ripartire dal Marocco.

Comunque vince la paura e la vergogna e si decide di andare in questura per denunciare lo smarrimento del passaporto e dichiara la sua volontà di rimpatriare: ma nuovamente si riapre per lui lo sportello di un'auto della polizia con due agenti di scorta, e viene rispedito immediatamente in un Cie. Come persona senza documenti validi, quindi clandestino, non può circolare liberamente sul nostro suolo. Ma, niente paura, gli assicurano, il soggiorno nel Cie sarebbe stato di pochi giorni. Solo il tempo di ottenere dall'ambasciata marocchina i documenti. Invece viene nuovamente trattenuto per altri due mesi e senza che nessuno, nel frattempo, a provveduto a fornirgli il passaporto. Esce nuovamente con l'ordine di lasciare il territorio italiano. Cosa fa? Si reca nuovamente in questura per poi essere di nuovo sbattuto dentro un Cie inutilmente? Non gli rimane che essere - contro la sua stessa volontà - un clandestino per sempre.

Quante situazioni ci saranno come lui? A questo si aggiungono altre vicende denunciate, questa volta, da un'associazione milanese che si occupa dei migranti. Le questure assomiglierebbero sempre di più agli Hotspot, i centri ideati dall'Ue per identificare e registrare i migranti. In sostanza la procedura per la richiesta di asilo sta cambiando e -sempre secondo l'associazione milanese (Naga) - si entra in questura da cittadini portatori di un diritto riconosciuto internazionalmente, si esce con una espulsione in mano. Questo è dovuto dal fatto che le domande di asilo sarebbero filtrate da un operatore che valuta se accogliere o respingere le domande prima che finiscano alla commissione giudicatrice competente; ma soprattutto gli avvocati sarebbero esclusi da questa fase e non riescono ad assistere i propri clienti. Storie che fanno pensare molto. A che pro fare di tutto per creare più clandestinità?

Pubblicato: Venerdì, 13 Maggio 2016 12:38

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