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La vittoria di Sadiq Khan a Londra e i figli delle migrazioni in Italia

Sadiq Khan 2L'Huffington Post, 13-05-16
Renata Pepicelli

Mentre l'Europa appare sempre più spaventata dall'islam, e "islamofobia" e xenofobia crescono nei discorsi e nelle pratiche, a Londra diventa sindaco Sadiq Khan, figlio di immigrati pakistani e di religione musulmana. Si è trattato di un evento molto significativo, anche perché la campagna elettorale si è colorata da subito di sentimenti anti-musulmani. Quinto di una famiglia di otto figli, papà autista e mamma sarta, Khan - studente lavoratore all'università- ha intrapreso ben presto una carriera folgorante, prima nelle vesti di avvocato difensore dei diritti umani prima, e poi come esponente di spicco del partito laburista. La sua storia personale e politica ha convinto la maggioranza dell'elettorato londinese.

La vicenda di Khan può essere lo spunto per fare delle riflessioni sulla situazione dei figli delle migrazioni in Italia. Uno degli aspetti più interessanti della sua biografia è che parla di mobilità sociale. Un aspetto quest'ultimo sempre più raro da ritrovare nel nostro paese. La mobilità tra le classi è bloccata per tanti giovani, e ancor più per quelli nati in famiglie migranti. I figli non solo non riescono a migliorare la propria condizione rispetto a quella dei genitori, ma spesso retrocedono, arretrano, mentre la transizione all'età adulta risulta bloccata, ritardata all'infinito. La scuola, e poi l'università non riescono più a farsi garanti di quel patto tra stato e cittadini che nel Novecento prometteva lavori decenti e stabili e conseguente ascesa socio-economica a coloro che si impegnavano negli studi.

Malgrado ciò, non sono pochi i figli delle migrazioni che continuano a investire seriamente nell'istruzione, in controtendenza con quei dati del Miur che parlano di una percentuale di performance scolastiche negative e di abbandoni superiore per quegli studenti, che, a torto, si continua a chiamare "stranieri". Gran parte dei cosiddetti "studenti stranieri" sono nati in Italia o vi sono arrivati da piccoli, non sono per nulla "stranieri". Urge cambiare terminologie, definizioni e leggi. Soprattutto va riconosciuto ai bambini nati e cresciuti qui il diritto pieno alla cittadinanza. Un diritto che deve essere formale, ma anche "di fatto", perché non basta un "pezzo di carta", seppure sia fondamentale per essere riconosciuti come cittadini. Certamente nel cambiamento delle percezioni, i simboli, come la nomina a sindaco di una grande città di un figlio di migranti musulmani, contano, ma non sono sufficienti. L'elezione di un presidente nero negli Stati Uniti d'America, evento indubbiamente dal fortissimo impatto simbolico, non ha migliorato nella sostanza le condizioni e le percezioni rispetto alla popolazione afro-americana. Le rivolte di Ferguson, estesesi poi a tutto il paese, ne sono state una riprova.

Guardando dall'Italia la vittoria di Khan, il sociologo Stefano Allievi ha osservato: "È un passo avanti non perché è il primo sindaco musulmano di una capitale europea, ma in un certo senso perché ai londinesi non è importato che lo fosse". Le rigide griglie delle definizioni identitarie -in primis quelle della religione, del paese d'origine, del colore della pelle- sono venute meno, o non hanno giocato un ruolo predominante e necessariamente negativo. Anzi, lo stigma della "diversità/alterità" è stato invertito: è diventato un elemento di forza mentre veniva affermato il diritto a non essere intrappolati in definizioni riduzionistiche dell'identità. In campagna elettorale Khan ha più volte affermato: "La mia identità ha più facce: sono musulmano, britannico, europeo, laburista, avvocato, padre". E avrebbe potuto a lungo continuare l'elenco delle sue plurime dimensioni identitarie. È questa pluralità che qui in Italia si fa fatica a riconoscere ai figli delle migrazioni, a cui è costantemente chiesto di esprimere fedeltà a una sola delle loro appartenenze. Frasi del tipo: "Ti senti più italiano o marocchino?", ricorrono frequentemente. Ma le vite reali sono molto più complesse e trascendono rigidi schemi e categorizzazioni.

A poche ore dall'elezione di Khan, ho avuto uno scambio di messaggi whatsapp particolarmente esplicativo a tal riguardo con R., 17 anni, figlia di genitori bengalesi. Nata e cresciuta in Italia, un anno fa è partita con la sua famiglia alla volta della Gran Bretagna nella speranza di maggiori opportunità occupazionali. R. all'improvviso e, per la prima volta, è diventata una migrante, una "straniera": un'italiana di origine bengalese in Inghilterra. Quando le ho chiesto: "Che pensi della vittoria di Sadiq Khan?", la sua risposta è stata: "Sono felice, ma sono più felice per la vittoria del Leicester!". Un cuore azzurro suggellava la sua frase. Mentre io con la mia domanda implicitamente confinavo R. alle sue radici religiose (l'islam), alla regione d'origine dei suoi genitori (il sud-est asiatico), alla politica del paese in cui ora vive (la Gran Bretagna), lei con la sua risposta sparigliava le carte, evidenziando altri riferimenti identitari per lei più importanti. In primo luogo l'appartenenza a quella cultura giovanile che fa sì che molti giovani (al di là del loro genere e delle loro origini) si identifichino con la squadra di calcio del posto in cui vivono; in secondo luogo, il suo profondo legame affettivo con l'Italia: come abbiamo imparato in questi giorni, il Leicester ha infatti un allenatore italiano.

I figli delle migrazioni (come tutti noi) sono portatori di una pluralità identitaria che deve venir riconosciuta senza riduzionismi ed essenzialismi. È grazie alla possibilità di esprimere le sue multiple identità e di esercitare i diritti riconosciutigli dall'essere cittadino che Khan è potuto diventare sindaco di Londra.

Pubblicato: Venerdì, 13 Maggio 2016 12:21

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