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“Le moschee non sono un pericolo: i terroristi vogliono dividerci tra musulmani e cristiani”

art stam 3 magLa Stampa, 03-05-2016
Giaocmo Galeazzi, Ilario Lombardo

Il presidente dell’Unione delle comunità islamiche in Italia: sono luogo di preghiera e incontro

L’imam di Firenze, Izzedin Elzir, è presidente nazionale dell’Ucoii, unione delle comunità islamiche in Italia.
Come si fonda una moschea?
“Una moschea nasce dall’esigenza di un luogo di culto manifestata da un gruppo di musulmani. Musulmani si incontrano e decidono che hanno bisogno di un luogo per pregare: la prima cosa che fanno è redigere uno statuto. Secondo il regolamento in vigore in Italia, per fare uno statuto son sufficienti tre persone che costituiscono un’associazione. A questo punto i musulmani dell’associazione vanno a cercare un posto che diventerà una moschea, una sala di preghiera, un luogo di culto. La moschea è dove si prega, mentre il centro culturale islamico ha più funzioni, è più ampio e al suo interno si trova uno spazio per la preghiera. Quasi tutte le moschee in Italia sono sale di preghiera, cioè non sono moschee nel senso architettonico del termine. Le uniche moschee in senso architettonico in Italia sono quelle di Segrate a Milano, Roma, Colle Val d’Elsa, Ravenna e Catania. Tutte le altre sono sale di preghiera allestite in capannoni, garage, scantinati che non rappresentano degnamente né la comunità islamica né l’Italia che è il paese dell’arte, dell’architettura e della bellezza”.

Quali sono i passaggi legali necessari?
“L’Italia ha una bellissima Costituzione che garantisce la libertà religiosa e ogni persona può praticare la propria religione sia a livello individuale sia associativo. Se un’associazione ha l’autorizzazione che le ha consentito di essere costituita, è palese che al suo interno si possa pregare. Ci può essere una questione di destinazione d’uso ma se tu costituisci l’associazione come centro culturale islamico si può riservare una parte di esso alla preghiera e fare all’interno del centro culturale islamici una sala di preghiera. E’ tutto perfettamente legale. Perciò i politici devono amministrare, governare la realtà e non devono fare gli imprenditori dell’odio. La moschea è un luogo di preghiera, di incontro, di aggregazione poi se qualcuno non rispetta la legge va colpito quello che non rispetta la legge, non la comunità o la moschea”.

Ci sono ostacoli politici?
“Quello che è accaduto in Lombardia (con la legge anti-moschee, ndr) dimostra che purtroppo qualche politico vive ancora nella nostalgia del passato senza il coraggio di affrontare la realtà. E’ il fallimento di una certa politica che alimenta le paure invece di fare proposte per andare oltre le paure. E’ strumentale aggrapparsi contro le sale di preghiera islamiche a requisiti tecnici come le uscite di sicurezza a norma. Ma quale chiesa rispetta questi requisiti?”.

E i problemi di autorizzazioni?
“E’ una grande menzogna dire che in Italia siano solo 5 le moschee autorizzate. Sono 5 le moschee in senso architettonico, ma tutte le centinaia di sale di preghiera in Italia sono autorizzate. Nessuna associazione islamica che apre una sala di preghiera ha una riconoscimento giuridico nel senso che ha un’intesa con lo Stato, ma hanno le autorizzazioni amministrative da parte dei comuni. Tutte hanno le autorizzazioni amministrative, non esistono moschee abusive in Italia. I comuni, i vigili urbani e le forze dell’ordine non stanno mica dormendo. E infatti in Italia non ci sono stati problemi di terrorismo proprio grazie alle forze dell’ordine e alla comunità islamica che vigilano. La sicurezza del Paese è la nostra sicurezza”.

Il rischio terrorismo esiste?
“L’obiettivo dei criminali, di questi terroristi è dividerci e spingerci a ragionare in termini di “noi” e “loro”. E invece siamo noi insieme. Se invece cominciamo a dividerci facciamo il loro gioco e hanno vinto loro. Il problema è quando uno si radicalizza in carcere ed esce radicalizzato dal carcere. Noi come Ucoii abbiamo proposto al ministero della Giustizia un programma per seguire queste persone, per prevenire il radicalismo. Il Dap e il ministero della Giustizia sono d’accordo ma aspettiamo il nulla osta del Viminale. La burocrazia rallenta l’attuazione del progetto. E invece è meglio prevenire che curare”.

In che modo?
“Abbiamo visto 5 anni fa che c’è un handicap all’interno del sistema carcerario italiano. E allora abbiamo proposto di seguire con i nostri imam chi sta dentro ed è molto debole ed è una persona pronta a fare qualsiasi cosa e rischia di radicalizzarsi. Dopo anni di collaborazione lo scorso novembre siamo arrivati a un accordo per una strategia comune con il ministero della Giustizia e il Dap per andare dentro nelle carceri come imam, ministri di culto per parlare con questa gente nella speranza di recuperarli, in linea con il nostro sistema penale per cui la detenzione è finalizzata al recupero e ha funzione educativa. Un po’come facevano preti e suore nelle carceri con i brigatisti. In senso politico l’accordo c’è e i ministri ci hanno ringraziato, ma in senso pratico le procedure burocratiche sono ancora in corso. Noi il nostro contribuito siamo pronti a darlo, ma ora spetta a chi amministra la macchina burocratica”.

L’ex premier Massimo D’Alema ha proposto l’8 per mille alle comunità islamiche…
“Proponendo l’8 per mille per la comunità islamiche ha richiamato la Costituzione italiana. Noi siamo italiani di fede islamica e vogliamo un Islam italiano. Ma io accetto le donazioni da chiunque, da qualunque parte del mondo provengano l’importante è che siano donazioni trasparenti e senza condizioni. Detto questo, la proposta di D’Alema è in linea con gli articoli 8 e 9 della Costituzione italiana dove si stabilisce che con le minoranze religiose vanno fatte le intese. Purtroppo con noi musulmani lo Stato italiano non ha ancora applicato il dettato costituzionale, malgrado siamo la seconda religione d’Italia. La scusa è che noi musulmani siamo divisi ma con i protestanti sono state fatte 7 diverse intese e con i buddhisti 2 intese, una con il rito tibetano e l’altra con S?ka Gakkai. Quindi perché non lo Stato non può fare un’intesa con l’Ucoii e un’intesa con la Coreis? Perché lo Stato deve trattare i musulmani in maniera eccezionale?

Il Viminale, però, vi chiede di parlare con una sola voce. Non è un problema la frammentazione dell’Islam?
“Nell’Islam italiano ci sono due realtà che chiedono l’intesa, lo Stato verifica se queste due realtà hanno i requisiti e rientrano nei meccanismi, allora si fanno due intese con queste due realtà. Se invece i requisiti ce l’ha una sola di queste due realtà, allora l’intesa lo Stato lo fa solo con queste due realtà. E’ lo Stato che deve dire chi è più rappresentativo. Non vogliamo trattamenti speciali. In Italia i trattamenti speciali per le religioni sono finiti con il fascismo, quindi trattare l’Islam come un’eccezione significa che la mentalità in Italia è ancora quella vecchia”.

In che modo reperite i fondi?
“Vogliamo autofinanziarci con l’8 per mille ma vogliamo continuare a ricevere anche le donazioni da qualunque parte provengono. Ma chi dà i soldi, punto. Non è che dà i soldi e decide cosa dobbiamo fare in Italia o quale orientamento religioso dobbiamo dare alle nostre comunità. Se vuole comandare, ringraziamo e respingiamo la donazione. L’ho fatto io stesso con la Libia di Gheddafi che voleva darci un imam. Ho rifiutato per questo motivo la donazione ed era una cifra molto alta. Se dall’Egitto mi arriva una donazione e poi mi dicono l’imam lo devi prendere dall’università di Al Azhar noi rispondiamo: no grazie, non ne abbiamo bisogno. Anzi noi stiamo lavorando per fare una università islamica in Italia, un’accademia, un seminario per formare i nostri imam e che parlano anche italiano”.

La lingua è uno strumento di integrazione?
“A Firenze in questa moschea da 25 oltre all’arabo si parla l’italiano, per la semplice esigenza di rendere il sermone comprensibile a tutti quelli che non parlano arabo e cioè bengalesi, pakistani, albanesi, africani, le seconde generazioni che parlano solo italiano e anche gli italiani convertiti all’Islam. Il sermone del venerdì l’imam lo fa per essere capito da tutti. All’interno della comunità islamica più della metà dei fedeli non parlano arabo, ma anche se fosse una piccola minoranza a non parlare arabo ha comunque il diritto di capire. Le preghiere sono in arabo ma il sermone si fa in arabo e in italiano, per una esigenza interna della comunità”.

Stanno nascendo molte moschee di gruppi nazionali, però?
“Le moschee non devono essere divise, devono essere moschee delle città, non dei gruppi nazionali, della Palestina, del Marocco o dell’Egitto. Questo problema c’è particolarmente con i musulmani del Bangladesh e della Turchia che tendono a farsi le loro moschee. Comunque anche se può essere stata aperta dai bengalesi, però lo moschea è e deve essere aperta a tutti. La nostra politica è che la moschea deve essere della città, aperta a tutti, anche ai non musulmani”.

Quindi il problema sono i fondi?
“Sì. Abbiamo un grande problema di finanziamenti, abbiamo un grande bisogno di soldi. In gran parte andiamo avanti con l’autotassazione dei fedeli in Italia. Si tolgono il cibo di bocca per finanziare la moschea. In questi ultimi tre anni grazie al direttivo dell’Ucoii è stato fatto un lavoro di raccolta fondi molto valido con il Qatar che ci ha consentito di procurarci 25 milioni di euro. Sono soldi del Qatar charity, non del Qatar Foundation che invece fa investimenti per lo Stato del Qatar come quelli in Sardegna. Io ho rapporti con persone che vogliono donare, la Qatar charity garantisce trasparenza, tracciabilità tra chi dona e chi riceve”.

E’ un fondo di un governo straniero…
“E’ il popolo, non lo Stato che ci finanzia. Il rapporto tra Stati islamici e Islam è grande. Anche l’università di Al Azhar al Cairo ha sopra lo Stato egiziano, e sta agli ordini dello Stato. In Italia la distinzione tra seguaci di Al Sisi e quelli di Morsi- Frateli musulmani arriva fin qui in senso politico, ma non in quello religioso. Qui abbiamo egiziani di entrambi gli schieramenti, io ho detto alla comunità egiziana che dentro la moschea sono tutti italiani di fede islamica e le distinzioni in fazioni politiche restano fuori dalla moschea. Io posso anche aiutarli a manifestare pro o contro una parte, ma fuori dalla moschea, non dentro”.

Esiste un Islam italiano?
“Rivendichiamo di essere italiani, la carta dei musulmani d’Europa l’abbiamo fatta per mettere in pratica i valori di un processo culturale. L’Italia è una realtà accogliente e forte che dal passato ha imparato a combattere la violenza organizzata dei brigatisti rossi e neri e della mafia. Abbiamo esperienze storiche che possiamo elaborare in senso utile contro il terrorismo di questi criminali”.

Sarebbe davvero utile un albo degli imam?
“Siamo noi che vogliamo l’albo degli imam ma non c’è la volontà politica. Ci si chiede come comunità islamica di essere coraggiosi e di condannare. Noi li facciamo questi passi coraggiosi ma il nostro Stato italiano ci oppone la scusa che non siamo uniti per non arrivare all’intesa e al riconoscimento politico. Noi vogliamo creare un’identità europea, siamo per l’Europa unità”.

Chi è l’imam per l’Islam?
“L’Imam non è un’autorità religiosa dell’Islam, è quello che guida la preghiera. Nel decidere chi deve essere l’imam siamo molto simili agli ebrei. Il direttivo della comunità nomina l’imam. Se i fedeli lo accettano, pregano dietro di lui. Se non lo accettano, non pregano dietro di lui e allora si sceglie un altro imam. L’imam viene chiamato predicatore quando fa il sermone del venerdì. L’imam è nominato da un direttivo se la comunità è organizzata, se non lo è uno va avanti, se i fedeli lo riconoscono prosegue, sennò si tira indietro e lo sostituisce un altro. E’ un sistema democratico molto semplice”

Pubblicato: Martedì, 03 Maggio 2016 08:34

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