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L'inferno dei migranti è anche a Milano

art huff 13 aprl'huffington Post, 13-04-2016
Rosamaria Vitale

"In quanti siete a dormire nella tua stanza?"," Quarantadue", mi risponde il ragazzo eritreo che mi sta di fronte. È stato inviato all'ambulatorio per depressione. Penso non abbia capito la mia domanda e specifico: "Non ti chiedo quanti siete in tutto il centro, vorrei sapere in quanti dormite nella stanza?". "Quarantadue" risponde ancora il ragazzo e per farmi capire meglio mi spiega che dormono tutti nella hall. "Nella hall?" intende l'ingresso, ma l'ingresso di che cosa? Una casa, un albergo, un capannone?Impossibile saperlo, dovrei andare a vedere quel posto. Ma ho già provato, offrendo le mie prestazioni come medico volontario e naturalmente non mi hanno fatto entrare.

Ecco: anche questa è l'accoglienza dei profughi a Milano. E gli ospiti sono tutti richiedenti asilo, cioè quelli che in teoria avrebbero alcuni diritti che le leggi sull'accoglienza dovrebbero far rispettare. Ci sono delle regole che tutti i gestori dei centri dovrebbero seguire ma che quasi nessuno mette in pratica, a parte i centri Sprar (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che dipendono direttamente dal Ministero degli Interni e qualche altro centro gestito da persone serie, che sanno quello che fanno. A Milano fino a qualche anno fa i centri Sprar erano solo cinque e i posti disponibili 580. In compenso per adeguare i posti all'arrivo massiccio dei migranti nel 2015 sono stati aperti nella città e nei paesi limitrofi ben 43 nuovi centri, nati proprio per far fronte all'emergenza. Si tratta di hotels (18), appartamenti (20), dormitori (2) capannoni in disuso (2), ex pensionati (1). Già allora, come adesso, tutte queste strutture sono state date a chiunque si proponesse, ivi comprese associazioni che erano già state indicate come "non idonee" o addirittura denunciate per la loro inadeguatezza a gestire centri del genere. Negli ultimi mesi tali appalti sono aumentati ancora.

Credo che in Prefettura conoscano molto bene tutti i soggetti che partecipano agli appalti e ai quali affidano migliaia di persone, ma sembra che a nessuno importi proprio niente di controllare in che mani vanno a finire. Basta che i profughi abbiano un tetto sopra la testa e la Prefettura ha fatto il suo dovere, in accordo con i gestori dei centri che certamente non fanno solo opera di carità e di bene. Sono pochi i centri dove qualcuno si occupa del fatto che essi abbiano un minimo di possibilità di integrazione, che possano seguire dei corsi d'italiano, che abbiano dei pasti decenti, che possano muoversi per la città senza essere intercettati in continuazione dai controllori dei mezzi, che affibbiano loro multe salate che mai saranno pagate. Spesso i pasti sono gestiti da amici di amici che vincono gli appalti con l'offerta più bassa, gli educatori e mediatori culturali sono completamente assenti, come pure le cure mediche e un minimo di sostegno morale. Naturalmente non tutti i centri di accoglienza sono così.

Sono molto arrabbiata e dentro di me prevale una sensazione d'impotenza. Il ragazzo eritreo che ho di fronte è un chiaro esempio di come noi spesso siamo in grado di dare solo un tetto sopra la testa e niente di più. È angosciato perché è in quel centro da tanti mesi e le sue giornate scorrono tutte uguali. Nessuno parla con lui, trascorre le sue notti insonni ascoltando il respiro e i rumori di altri 41 uomini, in balia dei suoi pensieri che riguardano la moglie e i figli lasciati in Eritrea, nell'impossibilità di immaginare un futuro. Le sue giornate non passano mai, non ha alcuna speranza, ma soprattutto, come gli altri 41, è abbandonato a se stesso.

Non ha perso la vita nel percorso dall'Eritrea a Milano, nel mare o nei campi profughi di Turchia o Macedonia, ma è pur vero che la sta perdendo un giorno dopo l'altro. Per la sua depressione gli è stata data la terapia farmacologica, ma perché mai non dovrebbe essere depresso? Qualche giorno prima aveva tentato il suicidio.

Pubblicato: Mercoledì, 13 Aprile 2016 11:48

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