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La salute fisica e psichica dei migranti

art huff 1 apri 2l'Huffington Post, 01-04-2016
Rosamaria Vitale

Leggo spesso i rapporti di grandi ONG sulla salute psichica dei migranti e mi meraviglio sempre dei grandi numeri che vengono denunciati. Poi mi fermo a riflettere e confronto i loro numeri con i miei, che sono completamente diversi dai loro.

Mi vengono in mente i dossier dell'OMS sulla salute mentale nei campi profughi del Sud Sudan, dai quali emerge che il 50% delle persone che vivono lì da mesi o da anni soffre di disturbo da stress post traumatico e il 35 % di depressione. In totale l'85% soffre di disturbi psichici. Anche quei dati li trovavo assurdi e mi chiedevo, quando io stessa dovevo raccogliere quei dati, dove fosse la logica e dove si volesse arrivare con quelle indagini. Come avrebbero potuto non essere depressi o traumatizzati in quelle condizioni? Lo stesso me lo chiedo per i profughi, può esserci un profugo felice? Credo di no, almeno al loro arrivo, ma non essere felici, nel loro caso, non vuol dire necessariamente avere un disturbo mentale.

Da Milano sono passate circa 110.000 persone in due anni e cinque mesi. Ho provato a mettere a confronto le due situazioni in cui mi trovo a lavorare: l'accoglienza momentanea all'hub e quella che si protrae per 18/20 mesi nei centri per richiedenti asilo. No, non concordo con il fatto che tutti siano traumatizzati, depressi o portatori di uno stato d'ansia. Ma soprattutto non mi risulta che le ferite psichiche siano molto più numerose di quelle fisiche.

Analizzando le varie situazioni, posso dire per esempio che il 70% degli eritrei erano portatori di scabbia e impetigine, e qualcuno di loro, cinque in tutto, ha avuto anche dei problemi psichiatrici. Molti eritrei erano stati imprigionati e torturati in Libia ma hanno sempre dimostrato grande coraggio e desiderio di avere una vita migliore. I siriani invece, che viaggiavano quasi tutti con la loro famiglia, stavano bene fisicamente e fra loro non abbiamo mai evidenziato casi di patologia psichica. Erano depressi, questo sì, ma come nella situazione dei campi profughi, sarebbe stato anormale se non lo fossero stati. Ci parlavano della loro vita precedente con rimpianto e con la quasi certezza che non sarebbero più potuti ritornare alla loro terra. Cos'altro avrebbero potuto fare? Esseri sereni e felici?

Anche nei centri di accoglienza, negli ultimi due anni, non ho mai incontrato nessuno che necessitasse di un supporto psichiatrico o di una terapia farmacologica psichiatrica. Hanno tutti bisogno di parlare, questo sì, di essere supportati anche da un punto di vista psicologico, ma i loro problemi sono altri e riguardano soprattutto il loro futuro. I richiedenti asilo infatti provengono quasi tutti dai paesi sub sahariani, Senegal, Gambia, Sierra Leone, Mali, e per loro non esiste il diritto di asilo per motivi politici. Devono dimostrare in modo molto forte di aver avuto qualche problema serio al loro paese. C'è stato un periodo in cui il 60% dei senegalesi ha dichiarato di essere stato discriminato in quanto omosessuale mentre ultimamente chi ha sulla pelle qualche segno di scarificazione dice di essere fuggito dal suo paese perché destinato a essere sacrificato. Purtroppo le commissioni non prendono troppo sul serio queste motivazioni, soprattutto se vengono presentate da troppe persone, e la risposta alla richiesta di asilo è sempre negativa. Questo è sicuramente il loro problema più importante.

Pubblicato: Venerdì, 01 Aprile 2016 12:37

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