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Detenzione e lavoro, se 2 euro e 50 vi sembran troppi

art rep 11 marla Repubblica.it, 11-03-2016
MARTA RIZZO

Da settembre 2015 è aumentata la quota di mantenimento per i detenuti. Il lavoro carcerario è un mondo sconosciuto, eppure quasi il 30% dei detenuti svolge mansioni interne ed esterne agli istituti, con salari piuttosto bassi. Ed è lo stesso vice capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap) a credere nell'urgenza di una riforma

ROMA - Il 7 settembre scorso, il Dap - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria - ha disposto che la quota di mantenimento in carcere a carico del detenuto è aumentata a 3,62 euro al giorno, 108,6 euro al mese: il doppio di quanto era prima. Il periodico del carcere di Bollate, “Carte bollate”, denuncia che un recluso addetto alle pulizie di quell’istituto guadagna soltanto 2,50 euro l’ora. Quanti sono i lavoratori, interni ed esterni, che possono applicare il tempo della pena in modo produttivo in Italia? Che lavori fanno e quanto guadagnano? In seguito alle ricerche fatte, Massimo De Pascalis, vice capo Dap, è pronto a nuovi provvedimenti per migliorare il sistema lavorativo dei detenuti.

Le cifre che non si conoscono. “Quasi il 70% della spesa nel bilancio dello Stato destinata al mantenimento della struttura carceraria è indirizzata alla Polizia penitenziaria. La retribuzione dei lavoratori carcerati con mansioni amministrative, dall’estate 2015, mediamente, il salario di un addetto alle pulizie, è passato da 220 euro netti mensili a circa 150 euro. I carcerati che fanno pulizie e distribuzione cibo (nel gergo carcerario “scopini”) guadagnano 167,91 euro; gli addetti alle uffici spese (o “spesini”) 152,78 euro; gli addetti alle tabelle spese (“scrivani”) 205, 59 euro. Questo, per 25 giorni lavorativi e 75 ore complessive al mese”. Lo riferisce un dossier del periodico del carcere milanese Carte bollate, che espone una busta paga di un detenuto lavoratore amministrativo dell’istituto del settembre 2015. “Chi lavora all’esterno - sempre seguendo l’articolo di Bollate - ha paghe sindacali e anche chi lavora all’interno per imprese private o cooperative. A volte, però, alcune imprese che assumono detenuti all’interno del carcere, usano espedienti per ridurre al minimo i costi, inquadrandoli come lavoranti a domicilio. Nei call center hanno invece una retribuzione che si aggira attorno agli 800 euro mensili, dipende dalle ore di lavoro”.

Cosa dice il Dap. Secondo il Dap, invece, il lavoro carcerario esterno agli istituti segue i contratti delle società per le quali i detenuti s’impiegano. Non è facile, pare, fare un quadro preciso su quanto ammontino, mediamente, le paghe di chi lavora fuori dalle carceri. Sempre il Dap, poi, fornisce la documentazione sui detenuti lavoratori per l’amministrazione penitenziaria, interni agli istituti, che hanno salari non dissimili da quanto su riportato. Ogni ora, al lordo, un addetto ai servizi vari di istituto (scopino, porta vitto , spesino, magazziniere, addetti alla cucina, barbiere, piantone) guadagna da 3,38 a 3,71 euro; l’ addetto al Mof (muratore, imbianchino, idraulico, elettricista) tra i 3,62 e i 4,03 euro; i lavoratori agricoli (ortolano, agricoltore, mungitore, operatore macchine agricole, casaro) tra i 3,98 euro e 3,48; i metalmeccanici ( fabbri , carrozziere , motorista) tra i 3,44 e i 3,77 euro; chi opera nel settore tessile (sarto, tappezziere, tessitore) tra i 3,30 e i 3,78 euro; i calzolai guadagnano tra i 3,05 e i 3,95 euro; i falegnami tra i 3,69 e i 4,13 euro; i grafici (tipografo, fotoincisore, decoratore) tra i 3,63 e i 3,92 euro.

I lavori dei detenuti italiani. Il Dap fornisce uno studio statistico sul lavoro nelle carceri italiane, suddiviso per regioni; per coloro che operano all’interno del carcere e coloro che possono uscirne; con le varietà dei lavori che i detenuti possono svolgere. Le 79 pagine della sezione statistica Dap sono aggiornate a giugno 2015, data in cui il 27,62% della popolazione carceraria nazionale, svolge attività lavorative. Sono 14.570 persone, di cui 12.345 alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (colonie agricole, servizi dell’istituto di pena, manutenzione dei fabbricati, servizi extra murari) e 2.225 no (semilibertà del detenuto per datori esterni al carcere); imprese e cooperative; lavori esterni secondo l’art.21 (non è una vera misura alternativa alla detenzione, ma un beneficio concesso dal direttore dell’Istituto; consiste nella possibilità di uscire dal carcere per svolgere un lavoro, anche autonomo, o frequentare corsi di formazione professionale. Dal, 2001 sono ammesse al lavoro esterno anche le madri di bambini di età inferiore ai 10 anni, o i padri, se la madre è deceduta, o impossibilitata).

Detenuti stranieri e categorie di lavoro. Sono 4965, poi, i lavoratori detenuti stranieri in Italia; 4664 lavorano per l’amministrazione penitenziaria, 601 no; 4630 sono maschi e 335 donne. Le regioni dove i detenuti lavorano di più sono, nell’ordine, Lombardia, Toscana e Piemonte; mentre cifre di 1 lavoratore soltanto si leggono in Friuli, Molise, Marche e Trentino. I settori più frequenti riguardano la falegnameria; quindi agricoltura, piante e serre; sartoria e calzoleria; i luoghi nei quali i detenuti lavorano meno sono invece autolavaggi, carrozzerie e call center. Per quanto riguarda i corsi professionali, sono 2254 i detenuti, stranieri e non, che li seguono, i promossi sono l’80%. Campania, Umbria e Sicilia le regioni degli istituti in cui i detenuti sono i più studiosi; i settori maggiormente seguiti appartengono a ristorazione e cucina, giardinaggio e agricoltura, artigianato. Poco interessano, invece, l’arte e la cultura, ancor meno le lingue, la meccanica e l’ambiente.

Migliorare il lavoro carcerario senza gravare sullo Stato. “Il tema del lavoro penitenziario - spiega Massimo De Pascalis, vice capo Dap - è una criticità del sistema, pur rappresentando uno degli elementi fondamentali per assicurare un’esecuzione penale. Le percentuali di occupazione, la qualità del lavoro, la stessa retribuzione che risultano dai dati, ne sono la conferma. Con questi presupposti, sulla questione ci sono notevoli margini di miglioramento che possono essere realizzati con investimenti finanziari che, tuttavia, non necessariamente devono gravare sul bilancio dello Stato, bensì con finanziamenti europei e regionali, peraltro già disponibili. Per riorganizzare il Ministero della Giustizia nel giugno 2015, presso il ministero stesso, è stata realizzata una struttura dirigenziale finalizzata a reperire risorse in tal senso. L’obiettivo è ricondurre su un piano di organicità nazionale la progettazione, l’acquisizione delle risorse e l’impiego delle stesse in attività formative e di lavoro professionale. La stessa Amministrazione penitenziaria, che partecipa a quei lavori, sta incrementando le attività lavorative alle dipendenze dell’amministrazione con progetti finanziati dalla Cassa delle Ammende”.

Ci vuole una riforma, subito. “Rimane, comunque, invariata l’esigenza di modificare l’attuale normativa in tema di lavoro penitenziario - dichiara De Pascalis - per questo, il tavolo di lavoro dedicato a questo tema nell’ambito degli Stati generali per la riforma dell’esecuzione penale, istituiti dal ministro Orlando, ha prodotto analisi e proposte che indicano ipotesi di riforma utili a realizzare un incisivo cambiamento. Soprattutto, il lavoro dovrà migliorare la qualità delle prestazioni lavorative e l’ offerta dovrà essere anche coerente con le esigenze di mercato per poter assicurare la continuità dell’occupazione anche dopo l’espiazione della condanna. L’aspetto positivo, è la consapevolezza che tutti gli attori del sistema hanno sulla criticità di tale elemento che, a dire il vero, non è il solo. E che tutte le riflessioni e proposte si stanno muovendo verso una radicale riforma del lavoro penitenziario”.

A Bollate si denunciano paghe da fame. Un ristorante per clienti “liberi”; corsi e spettacoli teatrali; biblioteca; un’ impresa di catering di alto livello che lavora per grandi eventi; cura di animali; ortofrutta coltivata dentro e venduta fuori; incontri tra detenuti e universitari. Oltre a ciò, il carcere di Bollate, riconosciuto come esempio positivo e propositivo di reinserimento socio-lavorativo dei suoi carcerati, nel primo numero del periodico “Carte bollate” di gennaio-febbraio 2016, scritto anche da detenuti, denuncia le paghe su citate di chi lavora per l’amministrazione penitenziaria. “Bollate ospita in media 1100 detenuti - dice Massimo Parisi, Direttore di Bollate - Tra questi quasi 200 sono ammessi al lavoro all’esterno ai sensi dell’art 21. In molti casi il lavoro esterno è integrato da attività di volontariato. All’interno, per conto di ditte esterne, lavorano circa 200 detenuti a cui si aggiungono i lavoranti domestici. Gli studenti, complessivamente, sono circa 300, tra cui 26 universitari”.

“Reinserimento, volontariato, strutture alternative”. “In merito al lavoro - conclude Parisi - è un elemento fondamentale per l’inclusione sociale dei detenuti. Va accompagnato ad altri interventi che stimolino i detenuti e li accompagnino nel rientro in società. In tal senso, sono convinto che vanno strutturati dall’interno del carcere interventi finalizzati alle dimissioni dei detenuti e che prevedano la costruzione, con il territorio, di un progetto di rientro in società. Se all’inserimento lavorativo si accostano progetti per le famiglie dei detenuti, collegamenti con i servizi territoriali di residenza, ricerca di soluzioni abitative, attività di volontariato dei detenuti a favore di soggetti deboli, possiamo favorire un effettivo reinserimento sociale e una conseguente diminuzione della recidiva”.

Pubblicato: Venerdì, 11 Marzo 2016 10:17

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